giovedì, Settembre 19

L’annientamento degli Avari

Il principale punto di forza dell’esercito avaro era costituito dalla cavalleria, pesantemente corazzata, armata di lance lunghe tre metri oltre che d’arco e frecce alla moda dei nomadi, munita di quelle staffe che i loro nemici ancora ignoravano, era ben nota ai bizantini che avevano imparato a rispettarla e temerla.

Una delle loro manovre preferite era simulare la fuga di un reparto di cavalleria per poi investirlo di sorpresa da un altro contingente nascosto nella boscaglia o dietro un rilievo. Nonostante quello che oggi definiremmo un “reparto d’élite”, la guerra contro gli Avari fu molto simile ad una blitzkrieg, una guerra lampo.

Carlo preparò con un puntiglio particolare la campagna militare e l’esercito che radunò a Ratisbona, nell’estate del 791, fu con ogni probabilità il più numeroso che Carlo avesse mai comandato, con contingenti di Sassoni e Frisoni oltre che Franchi, Turingi e Bavari. Il Danubio rappresentava l’accesso naturale alle terre degli Avari e Carlo divise le sue forze in due colonne che avrebbero costeggiato le due sponde del grande fiume, quella a settentrione sotto il comando del conte Teodorico e del camerario Meginfredo, quella a mezzogiorno sotto il comando personale di Carlo.

Una flottiglia di barconi e chiatte avrebbe mantenuto le comunicazioni tra le due sponde, assicurando anche il trasporto, oltre che dei rifornimenti, di una delle due colonne nella riva opposta per sostenere un eventuale attacco avaro. Come consuetudine ben collaudata Carlo non rinunciò a minacciare le retrovie del nemico e una terza colonna, dal confine friulano, sotto il comando del figlio Pipino doveva attaccare alle spalle gli Avari.

La suddivisione dell’esercito nelle due colonne che marciavano lungo le due rive del Danubio corrispondeva oltre che ad esigenze strategiche anche a precise necessità logistiche. Il contingente settentrionale era composto soprattutto da Sassoni e Frisoni, che non dovettero dunque passare il Danubio e poterono mantenere più facilmente le comunicazioni con il paese di origine.

Ancora una volta Carlo e i suoi generali diedero prova di una grande capacità di coordinare due armate diverse, rispettando tempi e posizione geografica. Quando la colonna di Carlo raggiunse il confine col regno avaro, a Lorsch sull’Enns, l’altro esercito era pronto all’appuntamento, e il camerario Meginfredo poté passare il fiume in barca per ricevere personalmente le istruzioni del re.

Per tre giorni i sacerdoti imposero all’esercito franco di digiunare e pregare per ingraziarsi la volontà di Dio. Carlo dovette risolvere anche alcune controversie tra i nobili bavari, ritardando l’ingresso nel paese degli Avari fino al mese di settembre. Pipino nel frattempo aveva già conquistato una fortezza di confine e fatti molti prigionieri, questa notizia ebbe il potere di innalzare il morale dei soldati di Carlo. L’inizio della guerra vera e propria fu contrassegnato dalla fuga disordinata delle popolazioni avare e della caduta, una dopo l’altra di diverse piazze fortificate.

Carlo si rese conto che gli Avari rifiutavano volontariamente il combattimento e cercavano di applicare la strategia della terra bruciata per mettere in difficoltà la logistica del nemico. E così avvenne. Quando l’esercito di Carlo giunse al fiume Raab, lasciando dietro di sé una scia di incendi e devastazioni, era già almeno la metà di ottobre, e il foraggio scarseggiava. I cavalli iniziavano a morire di fame e anche gli uomini erano stremati, tanto che Carlo decise di ripiegare in patria.

Nessuna grande battaglia campale era stata combattuta e il successo dei Franchi era stato tutto sommato modesto. Il khaganato avaro però era ormai prossimo al collasso e quando la campagna franca riprese vigore grazie al costante afflusso di nuove truppe provenienti da ogni dove dell’ormai grande regno, era chiaro che l’entità politica avara aveva il tempo contato.

Per due anni Carlo si dedicò a pianificare la nuova campagna militare e per prima cosa fece costruire un ponte di barche smontabile sul Danubio. La campagna del 791 aveva però aperto crepe nella compattezza dello schieramento avaro e nel 795, uno dei capi avari che portava il titolo turco di tudun, mandò ambasciatori da Carlo, manifestando l’intenzione di sottomettersi a lui e farsi cristiano.

L’anno dopo questo tradimento, il khanato avaro crollò come un castello di carte: il khagan venne assassinato dai suoi rivali, e il duca del Friuli, Erich, organizzò una spedizione contro la capitale avara, che i Franchi chiamavano nella loro lingua il ring, l’anello, un immenso accampamento fortificato sulla riva sinistra del Danubio, saccheggiandola senza incontrare resistenza.

Incoraggiato da questo successo Pipino, il Re d’Italia, invase con forze consistenti il paese avaro, ottenendo la sottomissione del nuovo Khagan, fatto che non riuscì ad evitare un nuovo saccheggio del ring. Un grande bottino fu conquistato dai Franchi e Eginardo racconta che il tesoro, costituito in gran parte di manufatti d’oro, degli Avari riempì quindici carri tirati da quattro buoi ciascuno. Questa preziosa carovana fu inviata ad Aquisgrana.

Nel 799, quando il processo di assimilazione con il resto dell’impero veniva portato avanti, alcuni avari si ribellarono. I Franchi smisero di considerare una minaccia ancora attiva gli avari nell’803, anno a cui risale anche l’ultimo testo bizantino che li cita, il quale li descrive nella lotta, terminata con una sconfitta, contro i bulgari presso il fiume Tibisco.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Carlo Magno, di A. Barbero

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