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L’assetto istituzionale del regno dei Franchi

L’istituzione fondamentale del regno franco è il Re. Il sovrano aveva un’autorità assoluta su ogni singolo suddito che abitava nel territorio controllato, si trattasse di un nobile come di un contadino. Romani, Alemanni, Burgundi, Sassoni e Longobardi erano tutti soggetti all’autorità regale.

Dopo la conversione al cattolicesimo del popolo franco il potere assoluto del re era mitigato dal particolare stato di questa istituzione che fungeva da ponte tra il regno dei Cieli e quello della Terra. Con l’incoronazione dell’anno 800 si aggiunge una dimensione imperiale alla sua regalità. Per altro Carlo Magno seguendo la tradizione dei sovrani che lo avevano preceduto sapeva di dover subordinare la sua azione all’imperativo cristiano.

Questo atteggiamento in Carlo fu rimarcato anche dal modo con cui trattava i nemici, perlomeno quelli illustri, come ad esempio Desiderio, il re longobardo da lui sconfitto e il duca bavaro Tassilone salvando la loro vita e obbligandoli a ritirarsi a vita monastica, senza per altro subire le feroci mutilazioni che erano prassi comune a Bisanzio.

La seconda istituzione su cui faceva cardine il regno dei Franchi era l’assemblea annuale degli uomini liberi che si teneva solitamente in primavera. In questa occasione il re presentava le sue leggi e progettava la campagna militare estiva, insieme ai festeggiamenti religiosi di Natale e Pasqua, l’assemblea scandiva il tempo ciclico dei Franchi.

Diversamente dai monarchi assoluti dei secoli successivi, il re franco pur godendo di un potere immenso doveva, in una certa misura, dare conto al suo popolo delle sue scelte politiche, amministrative e militari. Volontà divina e consenso dei Franchi erano due legittimazioni sfumate ed ambigue entrambi presenti. Per altro la crescente funzione del re, anche in materia religiosa, il suo rapporto particolare con il Dio dei cristiani, di fatto aveva progressivamente svuotato di funzioni l’assemblea annuale.

L’assemblea era una delle tradizioni più antiche dei franchi e costituiva il momento nel quale il sovrano portava alla sua “approvazione” le leggi messe a punto durante l’inverno. Già nel 596 il re Childeberto sentì il bisogno di conservare memoria scritta delle delibere assunte nell’assemblea, ordinandone la trascrizione. Sotto Carlo Magno però la natura dell’assemblea era profondamente mutata, innanzi tutto invece di svolgersi nelle Calende di Marzo era stata spostata verso giugno/luglio. Questo spostamento avveniva sia per esigenze legate alla logistica dell’esercito che alla sempre più massiccia presenza di vescovi e sacerdoti che impediva all’assemblea di essere convocata in prossimità della Settimana Santa.

Il cambiamento più radicale però riguardava la composizione dell’assemblea di fatto non più aperta a tutti gli “uomini liberi” ma riservata ai magnati ecclesiastici e laici, i vescovi, gli abati e i conti, alcune centinaia di persone con il loro seguito. Carlo Magno, inoltre, introdusse spesso lo sdoppiamento dell’assemblea, oltre al raduno principale chiamato “Campo di Maggio”, spesso lo stesso anno si svolgeva un nuovo raduno in autunno.

In questo caso il re non convocava tutti i guerrieri, e neppure tutti i grandi laici ed ecclesiastici, ma soltanto coloro interessati a disposizioni specifiche o a discussioni di carattere teologico. A scanso di equivoci l’assemblea se mai lo avesse avuto prima, al tempo di Carlo, aveva perduto qualunque potere di condizionare seriamente il sovrano. Di fatto era un organo meramente ratificatore. Le decisioni assunte con il consenso dei maggiorenti del regno valevano come semplice accettazione della volontà regia. Carlo Magno pur essendo perfettamente consapevole dell’assoluta preponderanza del suo potere rispetto all’assemblea, ebbe sempre a cuore il rispetto delle forme che in qualche misura tendevano a coinvolgere il popolo franco, attraverso nobili e religiosi, nelle sue decisioni.

Questa volontà regia si espresse nell’803 quando promulgò una serie di leggi che avevano l’obiettivo di uniformare giuridicamente un impero cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni. Carlo impegnò i suoi missi dominici in una consultazione generale su tutto il territorio dell’impero. Un altro esempio di questa attenzione, non soltanto formale, al rapporto con il popolo si verifica tre anni dopo con l’atto Divisio regnorum con il quale Carlo, ormai anziano, stabilisce la suddivisione dell’impero, alla sua morte, tra i suoi tre figli maschi, al momento ancora tutti in vita.

Un altro istituto, che negli ultimi anni si era alquanto annacquato, fu riproposto con forza da Carlo Magno, soprattutto all’indomani di alcune congiure e rivolte, come quella del duca bavaro Tassilone, si trattava del giuramento di fedeltà. In premessa va detto che ogni individuo per il solo fatto di nascere nei territori soggetti all’autorità reale era de facto legato da un giuramento implicito di fedeltà al sovrano.

Carlo volle ripristinare l’antica usanza di far giurare ogni singolo uomo libero del regno e nel 789 spedì i missi dominici in ogni provincia del regno per far pronunciare la formula del giuramento a tutti i suoi sudditi. Lo stesso avvenne nel 793, dopo che l’anno precedente era stata scoperta una congiura ai suoi danni. Si trattò di un’impresa titanica che mise a dura prova l’organizzazione del regno, i missi, a ciascuno dei quali era affidata un’ampia circoscrizione, dovevano far giurare personalmente vescovi e abati, conti e vassalli regi, e gli altri dignitari ecclesiastici, arcidiaconi e canonici; ognuno di questi maggiorenti doveva a sua volta provvedere per i propri sottoposti. Il giuramento di fedeltà venne rinnovato anche nell’anno 802, poco dopo l’incoronazione imperiale.

Concludiamo questo breve escursus sull’assetto istituzionale dell’impero franco con il palatium, dove con questo termine non si deve immaginare un palazzo reale (ricordiamo che l’impero franco non aveva una vera e propria capitale) bensì la corte del sovrano, quell’insieme di consiglieri, ufficiali, ministri e intellettuali che seguivano costantemente l’imperatore nei suoi spostamenti.

La figura più importante di questo vasto “governo” al seguito del re, era probabilmente, il conte palatino, incaricato di esaminare gli appelli giudiziari che erano indirizzati in gran numero al palazzo, risolvendo i casi più semplici e istruendo le altre pratiche per sottoporle al sovrano. Altri esponenti importanti della corte erano il camerario, custode del tesoro reale, il siniscalco, responsabile dei rifornimenti e un connestabile, responsabile sia della stalla regia che della fornitura di cavalli all’esercito.

Si trattava come è intuibile di uomini di assoluta fiducia dell’imperatore che spesso venivano incaricati di missioni molto diverse dal ruolo istituzionale ricoperto. Completavano l’assetto di questa corte itinerante i cappellani, incaricati di custodire una reliquia preziosissima, la cappa di san Martino, protettore delle Gallie e di officiare, ogni giorno, la messa per il Re. A capo di questi chierici c’era l’Arcicappellano, la massima autorità religiosa del regno, cui il re chiedeva consiglio in tutti gli affari di natura ecclesiastica.

Fonte:

Carlo Magno di A. Barbero

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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