L’avventurosa storia del vaccino della polio – parte prima

Fino alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo, la poliomielite era la malattia che causava il più elevato allarme sociale e sanitario, questo nonostante che in termini di focolai epidemici, casi e morti si trattasse di una malattia meno diffusa di altre infezioni come la tubercolosi o l’influenza. Da cosa derivava allora questa vera e propria “psicosi” che condurrà ad una delle più frenetiche corse al vaccino della storia della medicina?

Certamente la causa principale era legata al fatto che ad essere prevalentemente colpiti dalla polio erano i bambini, senza particolari distinzioni di classe sociale o etnia e questo comprensibilmente terrorizzava i genitori. Inoltre anche se i numeri non erano altissimi tra coloro che sviluppavano i sintomi della malattia (circa il 70% degli infetti era asintomatico) moltissimi erano i casi di paralisi permanente e alta la letalità.

Isabel Morgan, la scienziata che scelse l’amore

Bastava ed avanzava per promuovere una corsa al vaccino che rimarrà insuperata fino all’avvento del Covid19. Dopo alcuni insuccessi sarà una donna a “riaprire” quella che si sarebbe configurata in ambito scientifico come una vera gara al vaccino anti polio. Isabel Morgan, figlia del premio Nobel Thomas Hunt Morgan – colui che dimostrò, ben prima della scoperta del DNA, che erano i cromosomi a trasmettere i geni e non le proteine, nel 1938 aveva iniziato a lavorare al Rockefeller Institute proprio sulla polio.

Isabel Morgan

Erano tempi molto difficili per le scienziate, oggetto di discriminazione e pagate molto meno dei loro colleghi uomini. La Morgan nel tentativo di trovare un posto dove la retribuissero un po’ di più e soprattutto dove potesse attribuirsi i meriti delle proprie ricerche, nel 1944 approdò alla Scuola di Medicina della Johns Hopkins University, e precisamente nel laboratorio di David Bodian e Howard Howe, ricercatori che avevano avuto un ruolo decisivo nel dimostrare come il virus della polio si introducesse nell’organismo umano.

In questo nuovo contesto la Morgan riprese il tentativo di produrre un vaccino con virus inattivato, coltivò la polio su tessuti nervosi e uccise il virus con la formaldeide, ottenendo così un vaccino inattivato che somministrò ad alcune scimmie. Le scimmie così trattate sopravvissero, senza sviluppare la malattia, ad immissioni massicce del virus attivo, il vaccino funzionava!

Eravamo sull’orlo di una svolta decisiva nella lotta alla poliomielite ma la Morgan, a trentotto anni, all’apice della sua carriera, nel 1949 sposò un ex colonnello dell’Air Force e si trasferì a Westchester, lasciando la prestigiosa Johns Hopkins University per il più modesto dipartimento di ricerca di laboratorio della contea e dedicandosi perlopiù alla cura del figliastro disabile. Isabel scelse la famiglia e l’amore invece che la carriera e il lavoro che aveva lasciato a buon punto, ma incompleto, alla Hopkins si bloccò.

Nessuno aveva le competenze per portarlo avanti. Rimanevano da chiarire, prima di tutto, la sicurezza di un vaccino prodotto usando tessuti nervosi. E soprattutto mancava la necessaria sperimentazione sull’uomo per avere una definitiva conferma non soltanto sull’efficacia ma anche su possibili, gravi effetti collaterali.

Una gara però non è tale se non ci sono più concorrenti all’opera. Nello stesso anno in cui la Morgan metteva a punto il suo vaccino con virus inattivato, a poca distanza dalla Hopkins, una trentina di chilometri, qualcuno lavorava su un vaccino anti polio con virus attenuato.

Hilary Koprowski, il virologo del fine giustifica i mezzi

Si trattava di Hilary Koprowski, un virologo nato a Varsavia il 5 dicembre 1916 e fuggito inizialmente in Brasile in seguito all’invasione nazista della Polonia, dopo la fine della seconda guerra mondiale si trasferisce negli Stati Uniti. Nel 1945 viene assunto dalla Lederle Laboratories a Pearl River, nello Stato di New York, ovvero la divisione farmaceutica del colosso della manifattura chimica American Cyanamid. Qui gli viene affidato l’incarico di mettere a punto un vaccino contro la poliomielite.

Hilary Koprowski

Nel 1947 iniettò il poliovirus di tipo 2 (variante Lansing) nel cervello di alcuni topi. Successivamente prelevò il tessuto cerebrale infetto, lo disgregò in soluzione salina e lo iniettò nel cervello di ratti del cotone, per poi ripetere la procedura su altri ratti. Passaggio dopo passaggio ottenne una forma “attenuata” del virus che somministrò per via orale a nove scimpanzé.

Nessuno di questi scimpanzé, quando furono esposti al virus originario, sviluppò la malattia. Adesso occorreva verificare che questo vaccino funzionasse anche sull’uomo e fosse contemporaneamente sicuro. Siamo ancora nell’epoca in cui imperava la tradizione secolare secondo cui la prima persona a provare la validità di un’ipotesi scientifica o di un nuovo ritrovato farmacologico doveva essere il ricercatore stesso.

Così fece nel 1948 il virologo polacco secondo il racconto di uno storico della scienza. «Un pomeriggio tardi d’inverno, lui [Koprowski] e il suo assistente, Thomas Norton, si prepararono un “polio cocktail”, usando un frullatore Waring per sminuzzare i pezzi di spina dorsale e tessuto cerebrale di ratto in una sbobba oleosa grigia. I due lo bevvero da piccoli contenitori di vetro, inclinando indietro il capo per sorbire tutto il liquido. Il sapore assomigliava molto a quello dell’olio di fegato di merluzzo, concordarono. “Ne vuoi un altro?” chiese Norton. “Meglio di no” rispose Koprowski, “devo guidare”».

L’auto sperimentazione di Koprowski e del suo assistente non ebbe effetti collaterali e nel 1950 si decise di provare il vaccino su una platea molto più vasta, preferibilmente fatta da bambini. Con una prassi consolidata all’epoca ma eticamente molto discutibile si decise di effettuare i test su soggetti particolarmente fragili come bambini disabili o orfani, generalmente ricoverati presso un istituto o un orfanotrofio. E così venne scelto un istituto per bambini con gravi disturbi mentali.

Il preparato fu somministrato a 19 bambini, diluito in mezzo bicchiere di latte e cacao. Il test fu eseguito in assoluta riservatezza per paura che qualcuno potesse intervenire e bloccarlo. Tanto più che la prestigiosa rivista “Lancet” nel 1952 criticò aspramente l’utilizzo del termine “volontari” nella pubblicazione dei risultati ottenuti. Al netto del feroce dibattito etico che si scatenò, i test furono un successo, nessun bambino contrasse la polio e tutti svilupparono anticorpi contro il ceppo Lansing della polio.

Tra i maggiori critici della metodologia adottata da Koprowski si distinguerà un altro ricercatore, Albert Sabin che avrà un ruolo fondamentale all’interno della corsa al vaccino antipolio. Rimaneva ancora tutta da giocare la partita di un vaccino da virus attenuato che tenesse conto di tutti e tre i tipi di polio identificati proprio quell’anno (il poliovirus di tipo 1 (PV1), di tipo 2 (PV2) e di tipo 3 (PV3), ognuno con una proteina del capside leggermente diversa) e che potesse essere prodotto su tessuti non nervosi,

Nel 1992 un articolo pubblicato sulla rivista Rolling Stone indicò il vaccino sviluppato da Koprowski e sperimentato negli anni cinquanta nell’allora Congo Belga, come il veicolo che permise il “salto” (spillover) del virus HIV da alcuni primati all’uomo. Tale teoria è stata smentita nel 2013 da numerosi studi, effettuati anche analizzando campioni dei vaccini usati da Koprowski in Congo. Koprowski morì a Filadelfia nel 2013, all’età di 96 anni, in seguito ad una polmonite.

FINE PRIMA PARTE

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

La malattia da 10 centesimi di A. Collino

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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