giovedì, Settembre 19

Le città e il riscaldamento globale

In un precedente articolo “L’urbanizzazione del mondo sarà una delle cause del crollo della civiltà umana?” abbiamo brevemente tracciato come l’inarrestabile processo di urbanizzazione del pianeta costituisca un serio pericolo per la stessa civiltà dell’uomo. Le città sono allo stesso tempo la sorgente più importante dei gravi rischi ambientali che stiamo attraversando ma anche il luogo che fornisce le migliori opportunità per “medicare” l’ambiente gravemente ferito.

Le città assorbono energia e risorse per mantenersi e ampliarsi e al contempo producono un’enormità di scarti e rifiuti. Questo bilancio sfortunatamente non è in pareggio e la causa principale di questo disequilibrio è l’assenza delle piante. Le città sono spazi minerali, cementificate fino all’ultimo metro quadro disponibile. La superficie occupata dalle piante è minima se non, ad esempio nei centri storici, totalmente assente.

Un bellissimo sito Treepedia, curato dal World Economic Forum in collaborazione con il MIT di Boston, misura la percentuale di vegetazione arborea presente nelle principali città del mondo. La città con più vegetazione al mondo è Vancouver con il 25,9% della superficie coperta da piante, mentre in molti centri urbani la copertura arborea è inferiore al 10%. Parigi si attesta al 8,8%, Quito al 10,8%, Londra al 12,7%, Kobe al 9,4%.

Eppure gli alberi e le piante sono le armi migliori che abbiamo per combattere il riscaldamento globale. Se esiste una convinzione solida e accettata dalla stragrande maggioranza della comunità scientifica è quella sulla natura del global warming e sulla sua origine antropocentrica. A causa delle attività umane la temperatura media della Terra aumenta a una velocità mai sperimentata prima e la causa principale di questo riscaldamento è l’incremento nell’atmosfera dei gas serra – principalmente l’anidride carbonica – prodotti dalle attività umane.

Se non sappiamo con certezza quale è il conto effettivo che le generazioni future dovranno saldare all’ambiente oltraggiato, tuttavia esistono modelli sufficientemente affidabili che predicono che senza efficaci e tempestive contromisure, a fine secolo, la temperatura del pianeta sarà aumentata di 4° centigradi. Uno studio dei ricercatori della University College di Londra e dell’Università di Reading afferma che con l’innalzamento della temperatura media globale di 2 gradi, nei giorni più caldi dell’anno, il tasso di mortalità correlato aumenterà del 42%. Si passerà dagli attuali 117 decessi al giorno nel periodo più caldo dell’anno nel Regno Unito a 166. Ulteriori gradi aggiuntivi vedrebbero aumentare questo tasso con un ritmo non lineare.

Le città pagheranno un prezzo salatissimo al crescere della temperatura media globale. Oltre il 90% delle città sono costiere e, come tali, saranno soggette a fenomeni di inondazioni sempre più frequenti dovute al progressivo innalzamento del livello del mare. I fenomeni atmosferici più estremi, come siccità, uragani, nubifragi, vento si moltiplicheranno, stremando la popolazione cittadina e provocando interruzioni e rallentamenti delle attività economiche della città e gravi problemi di viabilità. Le ondate di calore estivo saranno sempre più frequenti con gravi ripercussioni sulla salute delle persone.

Non dobbiamo dimenticare che l’incremento della temperatura dovuta al global warming si va a sommare alle caratteristiche dell’ambiente urbano. Ognuno di noi avrà sperimentato almeno qualche volta come in uno stesso giorno estivo la temperatura di una città, risulta mediamente di qualche grado superiore a quella di un piccolo paese collocato a 10-20 km di distanza.

SI tratta del cosiddetto effetto “isola di calore“. In meteorologia e climatologia l’isola di calore è il fenomeno che determina un microclima più caldo all’interno delle aree urbane cittadine, rispetto alle circostanti zone periferiche e rurali. Il maggior accumulo di calore è determinato da una serie di concause, in interazione tra loro, tra le quali sono da annoverare la diffusa cementificazione, le superfici asfaltate che prevalgono nettamente rispetto alle aree verdi, le emissioni degli autoveicoli, degli impianti industriali e dei sistemi di riscaldamento e di aria condizionata ad uso domestico.

Al contempo, le mura perimetrali degli edifici cittadini impediscono al vento di soffiare con la medesima intensità che viene registrata nelle aree aperte fuori della città: gli effetti eolici possono essere inferiori fino al 30% rispetto alle aree rurali limitrofe, limitando così il ricircolo di aria al suolo e il relativo effetto refrigerante durante la stagione estiva. Nelle zone urbane, inoltre, il rapporto tra superfici orizzontali e superfici verticali è più basso, ciò inibisce la dispersione di calore tramite irraggiamento termico. Tutto questo si traduce in una maggiore temperatura che può oscillare da più 0,5 a 3° centigradi.

Se sommiamo l’effetto del riscaldamento globale a quello delle isole di calore si possono toccare i 5/6 gradi di media in più con conseguenze devastati sulla salute umana, l’economia e l’ambiente. Purtroppo la maggior parte delle persone non è in grado di immaginare come due soli gradi di aumento della temperatura media globale possano pesantemente intaccare la propria vita quotidiana. Per aiutare a costruirci una mappa mentale sufficientemente corretta della serietà della situazione a cui stiamo andando incontro, l’Eth di Zurigo ha abbinato i dati climatici che caratterizzeranno le principali città del mondo nel 2050 con il clima attuale di altre città.

Scopriamo così che in soli 30 anni, nell’emisfero settentrionale sia le estati che gli inverni saranno più caldi, con aumenti medi rispettivamente di 3,5 °C e 4,7 °C, e che le città avranno i climi che hanno oggi città mille chilometri più a sud. Le condizioni climatiche di Roma nel 2050 saranno simili a quelle attuali di Izmir; Londra sarà simile a Barcellona, Stoccolma e Oslo a Vienna; Monaco a Roma, Mosca a Sofia, San Francisco a Rabat, Los Angeles a Gaza, Parigi a Istanbul e Madrid a Marrakech.

Le città non sono però soltanto i luoghi dove si produce maggiormente il disastro ambientale, ma sono anche i luoghi dove sarebbe più facile intervenire per una mitigazione relativamente rapida del global warming. Poiché è in città che si produce il 75% della co2 di origine umana, è qui che va bloccata. Ed il modo più semplice ed efficace sarebbe farlo attraverso gli alberi. Uno studio del 2019 del Politecnico di Zurigo ha calcolato che per rimuovere dall’atmosfera una parte significativa della co2 prodotta dalle attività umane sarebbe necessario piantare mille miliardi di alberi. Ovviamente questo risultato ha prodotto critiche e perplessità, nonostante la serietà delle basi scientifiche che erano alla base dello studio. Fondamentalmente le obiezioni vertevano sulla mancanza di spazio per piantare questo numero indubbiamente grandi di alberi e sui costi di un’operazione simile.

Due obiezioni tutto sommato fragili, perché lo spazio secondo calcoli accurati esiste e il costo, per quanto notevole, è di gran lunga inferiore, sia ad altre soluzioni alternative che ai costi che gli effetti del riscaldamento globale provocheranno sia in termini di salute pubblica che per quanto attiene ai danni inferti al sistema socio-economico.

Se poi una parte significativa di questi alberi fosse piantata nelle città i risultati in termini di contrasto al global warming sarebbero ancora più importanti. Infatti, l’efficienza delle piante nell’assorbimento della co2 è tanto superiore quanto maggiore è la loro vicinanza alla sorgente di produzione.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

http://senseable.mit.edu/treepedia/cities/kobe

wired.it

La pianta del mondo di S. Mancuso

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