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Le giganti rosse in soccorso della costante di Hubble

Dobbiamo ad Edwin Hubble, astrofisico americano, la consapevolezza che il nostro universo si sta espandendo. Ma a quale velocità lo sta facendo? La risposta a questa domanda cruciale sembrava aver avuto una risposta definitiva agli inizi di questo secolo con la misura del fattore di proporzionalità della costante di Hubble.

Nel 2001 un gruppo di astronomi coordinati da Wendy Freedman dell’Università di Chicago, utilizzando i dati del telescopio spaziale Hubble, avevano ottenuto una misura molto precisa della costante di Hubble. Punti lontani 1 megaparsec (ovvero circa 3,3 milioni di anni luce) si allontanano alla velocità di 72 km al secondo.

Il rebus sembrava definitivamente risolto. Invece con il passare degli anni, attraverso metodi differenti di misurazione, si sono trovati risultati contrastanti. Fondamentalmente ci sono due tecniche diverse per misurare la costante di Hubble. Quella usata da Freedmann consiste nel misurare la distanza di oggetti astrofisici e contemporaneamente la velocità di allontanamento dalla nostra galassia. Questa tecnica necessita di oggetti di riferimento di cui si possa stabilire con ragionevole certezza l’effettiva distanza. Solitamente si utilizzano una particolare categoria di stelle, le Cefeidi e più recentemente un tipo particolare di supernove.

La seconda tecnica, indiretta, utilizza l’osservazione della radiazione cosmica di fondo per ottenere il valore dei vari parametri fisici del modello cosmologico standard, ivi compresa la costante di Hubble. Con questa seconda metodologia negli ultimi anni si sono ottenuti valori decisamente più bassi della costante di Hubble, al punto da diventare talmente confliggenti con i risultati ottenuti dalla prima tecnica da porre serie questioni interpretative su questa “anomalia”.

Si è arrivati addirittura a prospettare una revisione del modello cosmologico standard per spiegare la “tensione” tra le diverse misurazioni. In realtà questa difformità potrebbe benissimo appartenere ad errori nella misurazioni più che ad una nuova fisica o un nuovo modello cosmologico. Una nuova analisi effettuata da Wendy Freedman e pubblicata sull’Astrophysica Journal sembra dare ragione a chi sostiene che non c’è necessità di modificare l’attuale modello cosmologico.

La Freedman stavolta ha utilizzato un nuovo tipo di stelle per le sue misurazioni: le giganti rosse. Una gigante rossa è una stella gigante di massa piccola o intermedia (circa 0,3–8 M) che si trova nella fase finale della sua evoluzione. Anche queste stelle possono essere usate come indicatori di distanza, ma per farlo occorre un’accurata fase di calibrazione. La Freedman nel suo studio ha constatato come i risultati ottenuti basandosi sulle giganti rosse sono molto simili a quelle ottenute attraverso l’utilizzo della radiazione cosmica di fondo.

Se questi dati reggeranno ad ulteriori studi e misurazioni saranno le misurazioni basate sulle Cefeidi che dovranno essere, in futuro, migliorate. L’ultima parola sul valore effettivo della costante di Hubble probabilmente l’avremo quando l’attesissimo James Webb Space Telescope sarà finalmente in orbita.

Fonti:

Le Scienze, settembre 2021, ed. cartacea

alcune voci di Wikipedia

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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  • Senza togliere merito al grande Edwin, mi sembra che sarebbe gusto n¡menzionare qualche volta Milton Humason, il mulattiere che portava il latte agli astronomi, diventando a sua volta astronomo, e dedicandosi a misurare i red shifts della galassie.

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