Le isole di plastica e le invasioni di specie aliene

È tristemente noto il drammatico inquinamento dei mari da parte delle materie plastiche. Gli oceani sono invasi da enormi isole di materiale plastico che si formano grazie agli scarichi delle industrie in mare ma, anche dagli scarichi che provengono da navi da pesca, navi porta-container, piattaforme petrolifere e dai rifiuti generati dal turismo.

Una delle isole di plastica più impressionanti è la Great Pacific Garbage Patch: chiamata anche “Pacific Trash Vortex”. La sua esistenza è nota già dagli anni ’80, ma la sua scoperta risale al 1997, quando il velista Charles Moore si trovò circondato da milioni di pezzi di plastica, durante una gara in barca dalle Hawaii alla California.

È proprio in questa regione del Pacifico che quest’enorme isola di plastica si sposta seguendo la corrente oceanica del vortice subtropicale del Nord Pacifico. Ha un’età di oltre 60 anni ed è l’isola di spazzatura più grande al mondo. Le sue dimensioni sono immense: si stima che potrebbe occupare una zona di mare la cui grandezza potrebbe oscillare tra quella della Penisola Iberica e gli Stati Uniti d’America. La concentrazione massima raggiunge un milione di rifiuti per km2, per un totale di immondizia che oscilla tra i 3 e i 100 milioni di tonnellate di rifiuti complessivi.

È proprio in questa isola che un gruppo di oceanografi e biologi marini dello Smithsonian Environmental Research Center ha scoperto una nuova minaccia causata da questo inquinamento, oltre all’avvelenamento a causa degli additivi del plancton o al soffocamento di migliaia di cetacei a causa delle reti abbandonate in mare. I ricercatori hanno con stupore constatato la nascita di un nuovo ecosistema che prospera su questo mare di rifiuti in mezzo all’oceano.

Analizzando campioni prelevati dalla grande isola di plastica i biologi marini hanno scoperto che quest’isola di rifiuti è popolata da specie costiere nord americane quali piante, alghe, anfipodi e crostacei che adesso formano una robusta comunità ecologica nel mezzo del Pacifico. La scoperta riveste un doppio interesse, il primo di carattere evolutivo. Non si capisce infatti come queste specie riescano a sopravvivere nelle acque oceaniche poco nutrienti al largo delle coste.

L’altro interrogativo pone un serio allarme ambientale. L’arrivo in alto mare di specie costiere era un fenomeno estremamente raro e dovuto spesso a “scossoni” naturali, come nel caso dello tsunami del 2011 in Giappone i cui detriti avevano portato specie asiatiche fino alle coste californiane. I rifiuti di platica che ormai invadono tutti i mari rappresentano pertanto un pericoloso vettore di trasporto per lo spostamento di specie da un continente ad un altro, con tutto quello che comporta per le specie autoctone invase da altre specie provenienti da migliaia di chilometri di distanza.

Fonti:

Le Scienze, febbraio 2022, ed. cartacea

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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