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Le “relazioni pericolose” tra USA,URSS e Gran Bretagna nella seconda guerra mondiale

L’alleanza tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica fu un’esigenza militare ineludibile pur di fronte a sistemi politici ed economici antagonisti che si erano combattuti fino a qualche anno prima. Sospetti e pregiudizi rimanevano però anche durante il comune impegno per sconfiggere la barbarie nazi-fascista.

Americani e inglesi avevano l’incubo di una possibile pace separata tra l’URSS e Hitler, soprattutto quando Stalin iniziò a riconquistare gran parte del territorio perduto con l’invasione tedesca del 1941. Il dittatore georgiano considerava la mancanza dell’apertura di un secondo fronte ad ovest, come un complotto delle democrazie occidentali per far dissanguare l’Unione Sovietica e intervenire soltanto quando le castagne fossero ormai state tutte tolte dal fuoco.

I sospetti reciproci erano alimentati da una serie di politiche prebelliche come prova dell’altrui inaffidabilità: l’unico fattore che univa gli alleati era quindi il nemico comune, Hitler. Queste riserve spiegano gran parte dei compromessi che si raggiunsero tra le tre potenze durante la guerra. A Casablanca, nel gennaio del 1943, si decise che il conflitto in Europa sarebbe terminato soltanto con la resa incondizionata della Germania.

A Teheran, undici mesi dopo, i Tre Grandi Stalin, Roosevelt e Churchill si accordarono per lo smantellamento della Germania e il ritorno alla “linea Curzon”, come confine tra Polonia e URSS. La Linea Curzon era la linea di demarcazione proposta nel 1919 dal ministro degli esteri inglese George Curzon  come possibile armistizio tra la Polonia a ovest e la Repubblica socialista federativa sovietica russa a est, durante la  guerra polacco-sovietica del 1919-1920. Il piano di Curzon non fu accettato da nessuna delle due parti in lotta allorché la situazione militare volgeva in proprio favore, e infatti non ebbe alcun ruolo nello stabilire il confine polacco-sovietico nel 1921.

Stalin incassò anche il riconoscimento di Tito in Yugoslavia e l’accesso sovietico al Baltico attraverso quella che sarebbe diventata la città portuale di Kaliningrad, nella Prussia orientale. Il principale beneficiario di quelle concessioni fu l’Unione Sovietica, come risultato del ruolo decisivo (e incontestabile) che l’Armata Rossa aveva svolto sul campo.

Per lo stesso motivo, quando Churchill volerà a Mosca nell’ottobre del 1944, (Roosevelt era impegnato nella campagna per la rielezione e gli Stati Uniti furono tagliati fuori dal vertice) al momento di stabilire le zone d’influenza in Europa, dopo la fine delle ostilità, fu costretto a fare corpose concessioni all’alleato sovietico.

Churchill suggerì che l’Unione Sovietica avrebbe avuto il 90% di influenza in Romania e il 75% in Bulgaria; il Regno Unito dovrebbe avere il 90% in Grecia e il 50% in Ungheria e Jugoslavia. Churchill lo scrisse su un pezzo di carta che spinse attraverso il tavolo verso Stalin, che lo spuntò e lo restituì. Il risultato di queste discussioni fu che le percentuali di influenza sovietica in Bulgaria e, più significativamente, in Ungheria furono modificate all’80% e la Romania al 100%. Il cosiddetto Accordo sulle percentuali fu integrato su richiesta di Stalin con il diritto delle grandi potenze di invocare il potere di veto sulle controversie territoriali che coinvolgevano se stesse.

Il vero “cuore” di questo patto erano i Balcani. L’accordo siglato da Churchill e Stalin fu sostanzialmente rispettato e pur rappresentando una cinica operazione calata dall’alto dai “vincitori” della guerra sui “vinti” per i paesi interessati non cambiò molto. Infatti e qui affrontiamo brevemente l’ultima tappa di questo sintetico percorso dei summit degli alleati durante la guerra, il mondo che scaturirà dalla conferenza di Yalta, per i paesi dell’Europa centrale è diventato sinonimo di tradimento delle democrazie occidentali per la svendita di una parte della Germania e degli altri paesi centro-orientali all’URSS di Stalin.

In realtà si enfatizza fin troppo quanto deciso a Yalta dai tre Grandi. La conferenza ebbe luogo in un momento in cui la situazione politico-strategica era fortemente favorevole all’Unione Sovietica, con l’Armata Rossa giunta a 80 chilometri da Berlino, dopo i successi dell’operazione Vistola-Oder, mentre gli Alleati occidentali, appena superata la crisi della battaglia delle Ardenne, si trovavano con le armate ancora ferme sul confine occidentale della Germania a oltre 700 chilometri dalla capitale tedesca; in Italia il fronte era bloccato da mesi sulla linea Gotica.

A Yalta furono sostanzialmente ribaditi e sottoscritti gli accordi presi nell’incontro di Teheran, e anche se tutti gli Alleati firmarono la “Dichiarazione sull’Europa liberata” si evitò perfino di affrontare l’accordo sulla Germania postbellica perché troppo delicato e complesso. USA e Gran Bretagna lasciarono mano libera all’URSS di Stalin nell’Europa orientale fino all’ultimo giorno di guerra (ed oltre), perché l’unica cosa che contava era sconfiggere la Germania nazista. Questo atteggiamento fece si che il quadro politico dell’Europa postbellica fosse più che il prodotto di patti e conferenze, il risultato della posizione degli eserciti di occupazione al momento della resa senza condizioni della Germania.

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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