giovedì, Settembre 19

Le tensioni sociali durante la pandemia di Peste Nera del ‘300

Sono di questi giorni le proteste sociali che divampano in mezza Europa, Italia compresa, contro le restrizioni imposte dai governi per contenere la trasmissione del contagio da SARS-Cov-2. Niente di nuovo sotto il sole. Durante la pandemia di Peste Nera del 1346-48, nonostante la devastante letalità di questa malattia che letteralmente spopolò l’Europa, non mancarono tensioni sociali e proteste nelle popolazioni.

In molti casi i malati diventarono “nemici”, quasi al pari della peste, di quella parte sana della popolazione che si sentiva colpita duramente nelle condizioni di vita dagli effetti dell’epidemia. La ferocia della malattia fece saltare anche le forme più basilari di solidarietà, scrive nel 1348 un testimone di Avignone: “I parenti [malati] erano curati non diversamente dai cani. Gettarono loro da mangiare e da bere vicino al letto e poi fuggirono dalla casa. Alla fine, quando morirono, dalle montagne della Provenza arrivarono forti uomini, miseri, poveri e irascibili, chiamati gavot. Almeno, in cambio di una grossa paga, si sono occupati delle sepolture”.

Le istituzioni civili e religiose che detenevano il potere prima dell’epidemia si trovarono in grave difficoltà a mantenere l’ordine nelle città spazzate dalla Peste Nere. Decimate dalla malattia, si trovarono del tutto inadeguate ad affrontare la proliferazione di criminalità, saccheggi e dissolutezza.

Gli effetti economici della pandemia incisero profondamente nello sviluppo di questa turbolenza sociale. A breve termine si registrò un’incremento generalizzato dell’inflazione. Scrive il fiorentino Matteo Villani nel 1363: “Si pensava che, data la mancanza di persone, ci doveva essere una ricchezza di tutte le cose che la terra produce. Al contrario, attraverso l’ingratitudine degli uomini, una scarsità senza precedenti ha influenzato tutto, e questo è continuato per molto tempo“. Questa scarsità di cibo, vestiti e manufatti provocò un’impennata dei prezzi che si abbatté in modo più duro, ovviamente, sulle classi meno abbienti.

La drastica diminuzione dei lavoratori comportò, di contro, un vertiginoso aumento dei salari. Sempre il Villani scrive: “Per il servizio di ragazze e donne non qualificate senza esperienza vogliono almeno 12 fiorini all’anno, e i più arroganti tra loro 18 o 24 fiorini all’anno, quindi anche infermieri e artigiani minori che lavorano con le loro mani vogliono tre volte o quasi la solita paga, e gli operai della terra vogliono tutti i buoi e tutti i semi, e vogliono lavorare le terre migliori e abbandonare tutti gli altri“.

L’aumento dei salari dovuta alla scarsità della forza lavoro comportò il deciso miglioramento della qualità della vita di tanti operai, artigiani e contadini. Anche la dieta dei lavoratori migliorò includendo più carne, pesce fresco, pane bianco e birra. Anche se i latifondisti faticavano a trovare contadini, le variazioni delle forme di conduzione della terra migliorarono la produzione e la redditività.

A medio termine, anche sulla scorta di altri focolai di peste, si verificarono tensioni sociali che in Inghilterra, ad esempio, sfociarono nella cosiddetta rivolta dei contadini del 1381.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Verified by MonsterInsights