lunedì, Settembre 16

Le vittime polacche di Stalin

Durante il secondo conflitto mondiale non furono soltanto le popolazioni assoggettate alle forze dell’Asse a soffrire le terribili conseguenze della guerra (bombardamenti, prigionia, fame e malattie). Nell’Unione Sovietica di Stalin milioni di persone subirono le più crudeli persecuzioni di un paese devastato dall’invasione nazista.

Il dittatore georgiano deportò in Siberia circa 3.500.000 di cittadini sovietici, molti dei quali di minoranze ritenute inaffidabili come i tartari e i ceceni della Crimea. Tra le altre vittime di questa aberrante politica ci furono tra il 1940 e il 1941 circa 1.500.000 di polacchi deportati in Siberia nei gulag o semplicemente in esilio in ottemperanza alla politica stalinista della pulizia etnica. Di questi almeno 350.000 morirono di fame o di malattia e 30.000 furono giustiziati.

Edward Matyka, un soldato polacco di 21 anni, pensò ingenuamente che i russi non gli avrebbero impedito di fuggire in Romania dalla Polonia occupata dai nazisti. Invece nel gennaio del 1940 fu arrestato da una pattuglia sovietica, imprigionato e condannato a cinque anni di lavori forzati per aver varcato “illegalmente il confine” e per spionaggio in favore dei nemici dell’URSS. Ad ottobre dopo un lungo viaggio su chiatte prigione dovette marciare con altri sfortunati per 70 km prima di arrivare al campo di lavoro forzato dove era stato destinato.

Quattrocento uomini camminavano in fila indiana su un terreno ricoperto da oltre un metro di neve, man mano che procedevano in quell’inferno bianco i più deboli o coloro che avevano qualche bagaglio un po’ più pesante rimanevano indietro e non pochi morirono su quella pista desolata. I successivi 18 mesi di lavoro nel campo furono contrassegnati da privazioni e condizioni ambientali inenarrabili. Non di rado, anche in infermeria il luogo teoricamente più caldo del lager, Matyka si svegliava con i capelli pieni di brina.

In media ogni giorno morivano 12 uomini. Poi Matyka fu mandato al campo di lavoro Ust’-Usa all’interno del circolo polare artico ad inscatolare la carne per le mense delle carceri. Quando lui ed i suoi compagni furono finalmente liberati avevano costruito una ferrovia di circa 1000 km posando i binari sul terreno gelato a mani nude. Amaramente il giovane polacco scrisse: “Sotto ogni traversina ci sono le ossa dei polacchi e degli altri deportati”.

Nel luglio del 1941 per la situazione disperata in cui versava l’Unione Sovietica, Stalin concesse la libertà a circa 77.000 polacchi internati ed a 265.248 polacchi esiliati. Un certo numero di essi si arruolò nell’esercito comunista polacco e fu impiegato in combattimento contro le forze dell’Asse. L’anno successivo, nel 1942, Stalin concesse ad altri 190.000 polacchi di lasciare l’URSS verso la Persia, allora sotto la giurisdizione inglese. Cinicamente Anthony Eden, il ministro degli esteri, si lamentò di questa immigrazione sostenendo che danneggiava lo sforzo bellico della Gran Bretagna ed invocando l’assunzione di provvedimenti per fermare queste persone impedendo loro di lasciare l’Unione Sovietica a prescindere di quante ne sarebbero morte.

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