giovedì, Settembre 19

Lea Schiavi, la donna che sapeva troppo

19 aprile 1943. New York, Salone delle feste del Waldorf Astoria. Ken Cooper, il direttore dell’Associated Press inizia a leggere i nomi dei giornalisti uccisi dal proditorio attacco giapponese a Pearl Harbour fino a quel giorno, tra i quali c’è quello di un’italiana: Lea Schiavi, sposata con il giornalista americano Winston Burdett e perciò in possesso della doppia cittadinanza.

Lea era nata a Borgosesia, in provincia di Vercelli il 2 marzo 1907 e fin da giovane aveva mostrato insofferenza verso il regime fascista. Trasferitasi a Torino, preda di una sfrenata passione per il giornalismo, decise di interpretare questa professione per esternare il suo profondo dissenso per il fascismo che ormai si era consolidato in una vera e propria dittatura.

Come redattrice per le testate L’Ambrosiano e Il Tempo, la Schiavi operò a Belgrado, Bucarest, Budapest e Sofia come inviata speciale, indagando sui sistemi di persecuzione degli ebrei da parte del governo nazista. Per questo motivo fu avversata dal governo fascista, a tal punto che – in seguito alla promulgazione delle leggi razziali del 1938 e al suo inserimento nella lista dei servizi segreti come oppositore politico, ritenne opportuno rimanere nei Balcani, senza più ritornare in Italia.

A Belgrado incontra il futuro marito, il giornalista americano Winston Burdett, corrispondente della Columbia Broadcasting Corporation che sposerà poco tempo dopo. Il suo giornalismo investigativo in paesi come  il Kurdistan e l’Azerbaigian, sempre alla ricerca degli intrighi dei governi dell’Asse le varrà la sinistra attenzione del SIM, il Servizio Informazioni Militare che iniziò a tenerla costantemente sotto controllo.

Nel frattempo diventa corrispondente del quotidiano newyorchese “PM” e per suo conto si getta sulle tracce di un traffico clandestino di armi attraverso il quale i nazisti armavano i curdi in funzione anti britannica e anti russa. Lea era diventata un soggetto pericoloso per la Germania e soprattutto l’Italia che rischiava di perdere la faccia con il potente alleato.

La sua attività di coraggiosa giornalista investigativa conoscerà un tragico epilogo il 24 aprile 1942 quando Lea, a soli 35 anni, fu assassinata in circostanze oscure da alcune guardie armate curde. Il mandante di questo omicidio su commissione non fu mai scoperto. Dopo la guerra il marito denunciò come mandante dell’assassinio il colonnello dei carabinieri Ugo Luca, ufficiale dell’intelligence noto per le sue operazioni “coperte”, ma il procuratore generale di Roma, senza avere mai ascoltato alcun testimone, archiviò il caso. Luca infatti come molti altri agenti segreti ex fascisti erano transitati senza problemi nei “nuovi” servizi segreti della Repubblica.

Luca addirittura era diventato un alto papavero dell’intelligence italiano e la magistratura non se la sentì di fare luce su questo oscuro assassinio. Al Freedom Forum Journalists Memorial di Arlington dal 1996 il suo nome è il primo tra quelli delle donne giornaliste americane (grazie alla doppia cittadinanza) cadute in guerra. Per chi volesse approfondire la straordinaria storia di questa intrepida giornalista, può acquistare il libro di Massimo Novelli, “Lea Schiavi, la donna che sapeva troppo”.

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