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Leopardi a Roma

E’ l’autunno del 1822 quando il ventiquattrenne Giacomo Leopardi, ottenuto il consenso paterno, lascia “l’odiata prigione di Recanati” per compiere il suo primo viaggio dalla città natia: destinazione Roma.

Per arrivare nella capitale dello Stato Pontificio Giacomo impiegherà quasi una settimana a bordo di una scalcagnata carrozza messa a disposizione dagli Antici, parenti per ramo materno. Il viaggio metterà a dura prova la resistenza del giovane poeta. La carrozza risalirà le strade tortuose dell’Appennino, fiancheggiate da boschi e strapiombi, attraverserà la piana di Colfiorito scendendo verso Foligno e finalmente faranno tappa a Spoleto, all’Albergo della Posta.

Lasciata Spoleto, la carrozza attraverserà Terni, Narni, Civita Castellana per giungere finalmente alle porte di Roma, la cui sky line, diremmo oggi, è dominata dalla mole di San Pietro. Leopardi ne è tanto colpito che qualche giorno dopo scrive alla sorella Paolina: “La cupola l’ho vista io, con la mia corta vista, a cinque miglia di distanza!”.

L’intenzione del poeta era stabilirsi nella Città Eterna per sfuggire all’asfissiante tutela paterna. A Roma resisterà però poco meno di sei mesi ospite dei cugini Antici che lo alloggeranno in una fredda stanzetta al piano ammezzato e comunque non al piano nobile del loro palazzo. Giacomo si lamenterà diverse volte nelle lettere dei geloni che lo tormentano aprendo ferite che faticano poi a rimarginarsi.

Gli Antici erano una classica famiglia della Roma papalina né poveri né estremamente ricchi, rumorosa, superficiale ed un po’ volgarotta, Giacomo li definirà in una delle 945 lettere che spedirà al fratello, alla sorella o al padre come “indefinibili, imprevedibili, momentanei ed inafferrabili”.

A Leopardi la Roma di Pio VII non piace, la trova una città molto grande e misera in ogni senso, dallo sporco e dal degrado di alcuni quartieri al livello culturale che trova modesto e provinciale. Il 9 dicembre 1822 in una lettera al padre scrive: “Letterati ne ho conosciuti pochi e questi pochi mi hanno tolto la voglia di conoscerne altri.”

L’incontro con l’abate Francesco Cancellieri, erudito e storico molto famoso a Roma rafforza questa impressione, Giacomo lo definisce in una lettera: “un coglione, un fiume di ciarle, il più disperante uomo sulla terra.” Una delle poche cose che rapiscono il cuore di Leopardi a Roma è la tomba del Tasso e la chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo, di cui parlerà in modo entusiastico al fratello Carlo in una lettera del 20 febbraio 1823.

In quei sei mesi Giacomo avrà difficoltà a costruirsi delle relazioni con le donne, come per altro capitava anche a Recanati. Anche se molto giovane e ancora in discrete condizioni di salute, i suoi sforzi risultarono vani. Probabilmente il suo aspetto fisico non piacevole e pare un cattivo odore che emanava, gli impedirono qualunque tipo di relazione, tanto che dovette soddisfare le sue esigenze esclusivamente con le prostitute.

Nell’ambiente culturale romano Leopardi visse isolato e frequentò solamente studiosi stranieri, tra cui i filologi Christian Bunsen (poi ministro del regno di Prussia e fondatore dell’Istituto di Archeologia a Roma) e Barthold Niebuhr; quest’ultimo si interessò per farlo entrare nella carriera dell’amministrazione pontificia, ma Leopardi rifiutò.

Il soggiorno romano fu quindi sostanzialmente infelice per Giacomo che a fine aprile, sconsolato e sconfitto, fece ritorno a Recanati. Il 26 aprile confida a Pietro Giordani “Io non sono più buono a cosa alcuna del mondo”. Tornato a Recanati, Leopardi si dedicò alle canzoni di contenuto filosofico o dottrinale e, tra il gennaio e il novembre del 1824, compose buona parte delle Operette morali.

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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