giovedì, Settembre 19

Lo spettro della fame nella seconda guerra mondiale

Fame, denutrizione, penuria alimentare furono una tragedia nella tragedia del secondo conflitto mondiale. Mai nella storia dei conflitti armati tante popolazioni soffrirono in modo così drammatico la scarsità di cibo e mai ci furono così tante morti per fame. D’altra parte i teatri di operazione militari riguardarono un numero di paesi e territori superiori anche al precedente conflitto del 1914-18. I numeri parlano chiaro, seppur un po’ falsati dai dati che riguardano Unione Sovietica e Cina, tra il 1939 ed il 1945 ci furono più morti tra i civili che tra i soldati.

Naturalmente non tutti subirono le stesse conseguenze. La crisi alimentare più drammatica riguardò la Russia, dove sia gli abitanti delle città, spesso sotto assedio come a Leningrado e Stalingrado, sia i contadini delle zone rurali patirono la fame in modo spaventoso. Per anni l’alimento principale fu costituito dalle patate. Ogni giorni i combattenti russi ricevevano 500 calorie in meno degli inglesi o dei tedeschi e 1000 meno degli americani. Nel corso della guerra circa 2.000.000 di persone morirono di fame nei territori controllati dai sovietici, e circa 13.000.000 perirono sotto i bombardamenti o per fame in quelli occupati dalle forze naziste.

Molti russi si ammalarono di scorbuto e di altre patologie associate alla scarsità di una dieta per altro anche monotona e priva di vitamine. Nei paesi occidentali non occupati alcuni si arricchirono con speculazioni e traffici intorno alla penuria di cibo interna o di paesi alleati. Gli agricoltori negli Stati Uniti videro i loro redditi salire del 156% durante la guerra, raggiungendo un livello di benessere mai avuto prima. “Erano bei tempi per chi possedeva una fattoria” scrisse Laura Briggs la figlia di un piccolo proprietario dell’Idaho.

Anche coloro che prima della guerra apparteneva ad una classe agiata potevano sprofondare in poco tempo nella miseria e nella disperazione. Questo accadde soprattutto nei paesi occupati o vinti. In Italia, Bianca Zagari, madre di due figli, apparteneva ad una famiglia benestante che fuggì da Napoli nel dicembre del 1942, quando iniziarono i bombardamenti alleati. Sfollarono in Abruzzo, in 14 tra parenti, cameriera e governante. Li affittarono due case dove condussero un’esistenza molto diversa da quella precedente a Napoli, fino a che nell’ottobre del 1943, con orrore, si trovarono di nuovo sotto i bombardamenti. Le loro abitazioni non erano molto distanti da Monte Cassino dove si collocava uno snodo fondamentale del fronte. La signora Zagari ed i suoi due figli fuggirono dalla tempesta di fuoco che si era rovesciata sulle loro teste, ed apprese mentre con altri abitanti del luogo cercava di mettersi in salvo che ben 10 tra i suoi parenti erano rimasti uccisi sotto i bombardamenti alleati.

Insieme al marito che era miracolosamente sopravvissuto gli Zagari vissero per settimane in delle grotte imparando a fare cose inimmaginabili per persone che fino a qualche mese prima avevano a servizio una cameriera ed una governante fissa. In Italia la situazione tracollò con l’arrivo del gelido inverno del 1944. Malattie, mancanza di carburante e cibo colpirono la popolazione civile ed in particolare i bambini.

Gli inglesi sopportarono sei anni di austerità e di bombardamenti ad intermittenza. La situazione sull’isola era però di gran lunga migliore di quello che avveniva nel continente europeo dove fame e guerra prostravano centinaia di milioni di persone. Una parte minoritaria ma non marginale della società britannica fu soltanto sfiorata dal clima di austerità di cui soffrì il paese. Nella Last casalinga del Lancashire, nell’ottobre del 1942, scrisse che fino a quel momento la guerra aveva comportato pochi disagi e sofferenze, “niente di lontanamente paragonabile a quello che avveniva a Stalingrado”.

Anche i tedeschi, almeno fino al 1943, a parte le famiglie che avevano subito delle perdite, non risentirono in modo significativo degli effetti della guerra. I tedeschi, tranne i privilegiati funzionari del Partito nazista, si lamentavano della qualità delle razioni alimentari e non della quantità. Al popolo tedesco non piaceva quello che doveva mangiare, il consumo annuo di patate passò da 12.000.000 di tonnellate a 32.000.000 di tonnellate, ma lo spettro della fame non riguardò il Reich nazista tranne che negli ultimi mesi del conflitto.

Il cibo divenne l’ossessione numero uno sia nei paesi dove letteralmente si moriva di fame, sia in quei paesi come l’Inghilterra dove era in vigore un rigido razionamento. Nel paese di Churchill. ogni settimana un adulto aveva diritto ad un etto di strutto o burro, un etto di pancetta, due uova, circa 2 etti di carne, circa 60 grammi di tè e frutta e verdura a volontà se disponibile. Si ricorreva all’improvvisazione per sopperire alla mancanza di certi alimenti, ricorda Derek Lambert, bambino durante il conflitto, che una mattina la mamma servì per colazione una strana marmellata. Il marito dopo averla assaggiato disgustato chiese cosa diavolo fosse quella roba, la risposta fu marmellata di carote. Il vasetto finì nella spazzatura.

Questo gesto sarebbe stato impensabile per qualunque contadino russo od asiatico che avrebbe considerato un lusso la marmellata di carote. Gli effetti della scarsa e cattiva nutrizione si fecero sentire sullo sviluppo dei più piccoli, in Francia tra il 1935 ed il 1945 l’altezza media delle bambine diminuì di 11 centimetri e quelli dei maschietti di 7. In Belgio 3/5 dei bambini mostravano segni di rachitismo e la tubercolosi tornò ad imperversare sul continente.

Nella maggior parte dei casi gli abitanti delle città soffrirono la fame più intensamente di quelli delle campagne che potevano integrare la loro dieta con quello che producevano negli orti e nei campi. Per la dieta Canada, Australia e Nuova Zelanda se la cavarono piuttosto bene e come abbiamo visto gli Stati Uniti non ebbero praticamente nessuna conseguenza. Il razionamento fu introdotto soltanto nel 1943 ma le razioni erano molto generose e l’unica cosa che a un certo punto iniziò un po’ a scarseggiare fu la carne per i consistenti “aiuti” inviati soprattutto in Gran Bretagna ed in Unione Sovietica.

Ogni nazione belligerante cercò di assicurare al proprio popolo una quantità sufficiente di cibo con alterni risultati. I nazisti scelsero la strada di depredare i territori occupati, in particolare ad est. I soldati tedeschi sul fronte orientale consumarono 7.000.000 di tonnellate di grano russo, 17.000.000 di capi di bestiame, 20.000.000 di suini, 27.000.000 di pecore e capre ed oltre 100.000.000 di polli ed altri volatili domestici.

Anche la Cina fu depredata dall’esercito giapponese e dalle forze nazionaliste. Per gli italiani la fame divenne un fattore permanente dal 1943 quando il paese divenne un campo di battaglia. La figlia di un editore romano, un tempo molto ricco, ricordò come prima della guerra il padre aveva comprato una casa pagandola 70.000 lire mentre adesso un unico fiasco d’olio costava ben 2.000 lire. Il corrispondente australiano Alan Moorehead, scrisse dall’Italia: “La fame stava governando tutti. Stavamo assistendo al collasso morale di un popolo”.

Molte donne, casalinghe dall’aspetto ordinario, non esitavano a prostituirsi per strada per integrare la miserevole dieta della propria famiglia. La situazione era talmente disperata che nel 1944, un funzionario dell’ambasciata inglese a Washington perorò con il vice ministro della guerra americano le sorti delle popolazioni civili dei paesi liberati. Il funzionario fece notare l’immensa mole dei rifornimenti alimentari per le truppe americane che non venivano neppure smaltite e spesso andavano ad ingrossare il mercato nero, ma il vice ministro americano senza molto tatto gli fece capire che la Gran Bretagna dipendeva in tutto e per tutto dagli aiuti americani e che non era il caso che si preoccupasse della sorte dei popoli vinti o liberati.

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