L’uomo e il vino, una storia millenaria

Il vino è uno degli alimenti più antichi della storia dell’umanità. La coltivazione della vigna nasce tra il Mar Nero e il Golfo Persico circa 6.000 anni fa e lentamente si sposta verso l’Egitto. Ci sono antichissime fonti con caratteri cuneiformi e mesopotamici che registrano contratti sul vino, già 3.000 anni fa.

In Persia il vino si produceva in larga misura nel bacino dello Shiraz e da li rifornisce Persopoli e Susa, due delle cinque capitali dell’impero achemenide. La coltivazione della vite raggiunge poi l’isola di Creta e da li si diffonde a est e a nord, si instaura in Grecia, nel sud Italia, in Libia e Spagna. Infine il vino si fa largo anche in India, via Persia e perfino in Inghilterra, seguendo la rotta dello stagno, ma in senso contrario.

Si trovano tracce di questa bevanda perfino in Cina, intorno al III millennio avanti l’era volgare. Chi però farà compiere il salto di qualità al vino sono i Romani che ne migliorano sensibilmente le tecniche di coltivazione con l’invenzione dell’innesto e delle cure da dedicare alle piante nei mesi primaverili. Già dal primo secolo avanti Cristo usano conservare il vino in bottiglie di vetro chiuse con tappi di sughero sigillati con la pece.

Contrariamente a quanto spesso viene raccontato, le classi agiate e patrizie non annacquavano il vino (merum) mentre il popolo beveva un vino di qualità più scadente (picatum), diluito con acqua e con erbe o resina. I romani vietavano alle donne di consumarlo soprattutto per timore che l’ebbrezza conseguente ad una generosa assunzione potesse far loro perdere la testa e indurle a comportamenti “lascivi”.

La Gallia che conosceva già il vino prima dell’occupazione romana, diverrà in seguito uno dei maggiori centri di produzione di questa bevanda. Sono loro che utilizzano le botti per la conservazione del vino, mutuando questa pratica dalla birra. E lentamente le botti soppianteranno anche nel Mediterraneo le anfore, tradizionali contenitori anche del vino, durante i commerci. Il vino francese diventa così competitivo con quello italiano, tanto che nel 92 d.C. i grandi vignaioli della penisola riescono a convincere l’imperatore Domiziano a far estirpare nelle province la metà delle vigne e a vietare l’aumento delle superfici coltivate; il decreto è applicato soprattutto nel sud della valle del Rodano.

Si tratta di una forma di protezionismo ante litteram giustificata dall’esigenza di aumentare la produzione del grano sfruttando i territori più idonei della Gallia. Con la caduta dell’impero romano d’occidente molti vigneti, soprattutto in Gallia, vengono abbandonati e chi “salva” la produzione di questa bevanda sarà la religione cattolica e in particolare i monaci.

Le abbazie, che producono vino per la messa, diventano i principali centri di promozione della coltivazione dei vitigni, di produzione del vino e di innovazione nelle tecniche di vinificazione. I benedettini sulle rive del Reno, e i cistercensi sulla Mosella e in Provenza, Linguadoca e Italia curano le vigne e vendono le eccedenze sul mercato. Si crea così un doppio mercato del vino, quello dei vini “da chiesa” di qualità superiore e quello più dozzinale immesso in commercio.

Le rotte del vino vanno dal sud dell’Europa al nord e numerose fiere della provincia di Champagne diventano mercati e centri di scambio particolarmente fiorenti. Nel XIII secolo la regione di Bordeaux occupata dagli inglesi conosce uno sviluppo vitivinicolo molto importante, i migliori dei suoi vini sono destinati in esclusiva alla corte d’Inghilterra.

Con l’avvento della Riforma il mercato del vino subisce una battuta d’arresto a favore della birra soprattutto nei paesi protestanti. La minore domanda di vino è parzialmente compensata dalla richiesta che proviene dal Nuovo Mondo, colonizzato in quella fase storica soprattutto da spagnoli e portoghesi per cui il vino è parte integrante della tradizione alimentare di quei popoli.

Se la guerra dei Centanni (1337-1453) devasterà le campagne francesi con gravi danni nella produzione vitinicola, verso la fine del XV secolo si assisterà ad un’impetuosa ripresa della produzione di vino. Dovremo aspettare però il XVII secolo per la nascita dei vini “frizzanti”, merito di questa innovazione, spetta ad un monaco benedettino con la funzione di “vivandiere” del convento di Hautevillers: Dom Pérignon. Il monaco utilizzerà uve di vigneti diversi (cru) e soprattutto attraverso il controllo della prise de mousse (formazione della schiuma) durante la seconda fermentazione che intorno al 1670, nello champagne, nascerà il primo vino frizzante che successivamente assumerà l’omonimo nome.

Il vino grazie all’azione dell’anidride carbonica avrà il potere di rendere euforici uomini e donne, conquistandone il palato e diventando in breve un’icona delle bevande di “lusso” per gli aristocratici e la grande borghesia. Intanto nella seconda metà del XVI secolo i vitigni vengono introdotti in Cile, Argentina e Perù sempre grazie alla spinta di monaci francescani e dei gesuiti. In California sempre per merito di un monaco francescano i vitigni vengono introdotti nel 1769 mentre in Australia si comincia a produrre vino a partire dal 1788 ma senza grande fortuna. Il vino di qualità australiano è un fatto piuttosto recente.

Infine dopo la seconda guerra mondiale, sotto la spinta di enologi che collaboreranno attivamente con i viticoltori il vino raggiungerà quella qualità medio-alta che farà si che è possibile degustare grandi vini in California piuttosto che in Australia.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Altre storie straordinarie delle materie prime di A. Giraudo

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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