Mai invadere la Cina!

Il più bravo e famoso divulgatore storico del nostro tempo è senza dubbio Alessandro Barbero. Spesso durante le sue conferenze, il professore afferma che la Storia non è in grado di insegnare come evitare errori o azioni che nel corso dei secoli si sono rivelate disastrose. A questo assioma però Barbero fa seguire una divertente eccezione: “Mai invadere la Russia!”, riferendosi evidentemente alle disastrose invasioni tentate da Napoleone e circa 150 anni dopo da Hitler. Ebbene in questo articolo prendiamo a prestito questa espressione, modificandola con il nome del gigante asiatico e riferendoci all’invasione della Cina, perpetrata dal Giappone nel luglio del 1937.

La storiografia non può fare a meno di comparare l’invasione nipponica con quella nazista dell’Unione Sovietica, iniziata nel 1941, in entrambi i casi paesi militarmente inferiori, però di sterminata immensità geografica dimostrarono un’imprevista capacità di resistenza, anche di fronte ai momenti più drammatici. Come per l’Operazione Barbarossa si imputa all’invasione della Cina, la ragione principale della sconfitta dell’Impero del Sol Levante nel conflitto mondiale, deflagrato pochi anni dopo.

Ma le cose stanno esattamente così o questa visione rischia di farci sottovalutare altre considerazioni più pertinenti e “politiche” sulle cause dell’insuccesso nipponico?

Un bilancio fallimentare

È indubitabile che l’aggressione giapponese alla Cina si rivelerà un disastro. Nel 1945 il bilancio politico sarà quello di un totale fallimento. I giapponesi volevano la supremazia sull’Asia: non hanno più nulla; temevano il nazionalismo cinese, hanno indirettamente provocato il trionfo del comunismo cinese, l’Unione Sovietica esce rafforzata dalla conclusione del conflitto mondiale e ogni conquista ottenuta dalla vittoria del 1905 viene annullata.

Tutto discende dalla “madre di tutti gli errori“, il Giappone invade la Cina senza aver definito una serie di obbiettivi concreti raggiungibili. Si tratta quindi di una decisione che è essenzialmente il frutto di un progressivo deterioramento dei rapporti tra i due paesi, iniziato alla fine del XIX secolo.

Alle origini dell’invasione

Tutto inizia con il primo conflitto armato tra Giappone e Cina, passato alla storia come prima guerra sino-giapponese, combattuta dal 1º agosto 1894 al 17 aprile 1895 tra l’impero Qing e l’Impero giapponese del periodo Meiji per il controllo della Corea. Questa guerra sancisce il declino della Cina e l’avvio di una fase di modernizzazione e occidentalizzazione del Giappone. Il colpo per la Cina è talmente duro che porterà alla Rivoluzione del 1911 con conseguente abdicazione dell’imperatore Pu Yi il 12 febbraio 1912, permettendo l’ascesa di Sun Yat-sen alla presidenza della neo-proclamata Repubblica di Cina.

Dieci anni dopo, nel 1905, il Giappone attacca un altro impero in declino, la Russia. La guerra ancora una volta era tesa al controllo della Manciuria e della Corea, due capisaldi asiatici per le pretese imperialiste dei due imperi. L’esito della guerra, fu durissimo per la Russia che subì una serie di sconfitte terrestri e navali ma ebbe anche ripercussioni sulla Cina, classico gigante d’argilla, stretto tra le mire aggressive dei due imperi.

Il diktat delle ventuno domande

La Grande Guerra contribuirà ad inasprire le relazioni diplomatiche tra Cina e Giappone. Il 18 gennaio 1915 l’Impero del Sol Levante presenta un ultimatum, passato alla storia con il nome di “ventuno richieste o domande”. Se accettate queste richieste perentorie avrebbero reso la Cina in uno stato di completo vassallaggio, politico, economico, diplomatico, nei confronti dell’impero nipponico. Il Giappone con questa mossa intendeva approfittare del campo libero lasciato da altri attori colonialisti, come i tedeschi assorbiti dalla carneficina europea.

Il piano fallisce per il netto rifiuto da parte degli Stati Uniti di permettere al Giappone di sostituirsi economicamente e finanziariamente a loro nello sfruttamento delle risorse cinesi. Il Giappone si vide costretto a ritirare l’accordo già sottoscritto dai plenipotenziari cinesi. L’umiliazione subita dal Giappone in seguito al Trattato di Versailles non aiuterà un riavvicinamento con la Cina, considerata inutile come potenziale alleata e vista ancora come una grossa mucca da mungere.

Le conseguenze della fine della Grande Guerra

La fine della Prima Guerra Mondiale interrompe la modernizzazione autoritaria dell’epoca Meiji ma anche l’approdo ad una democrazia parlamentare fallisce a causa dell’esercito e della marina che si disgregano in più fazioni. La rinnovata autonomia dei militari conduce a un evento inimmaginabile in altri paesi. Nel 1931, infatti, un gruppo di ufficiali dell’armata di Kwantung invade la Manciuria senza il consenso del governo, che si ritrova davanti al fatto compiuto. La regione viene trasformata in uno Stato fantoccio, il Manchukuo, alla testa del quale – a scapito dei cinesi – Tokyo impone il loro ultimo imperatore ormai decaduto, Pu Yi.

Nel 1936 l’assetto istituzionale giapponese vede i civili subalterni alle alte sfere militari che di fatto sono i veri governanti del paese. Il problema fondamentale resta che oltre all’eliminazione di qualunque forma di democrazia, l’esercito e la marina sono divise in fazioni, il tutto sembra ricordare l’assetto feudale giapponese, con i daimyo, alti dignitari giapponesi, ognuno in grado di disporre di un proprio esercito.

Da scontri locali a guerra generale

Questa frammentazione dell’autorità militare nel luglio 1937, prima attorno a Pechino, poi a Shangai, due città in cui il Giappone mantiene alcune guarnigioni induce i quadri militari del luogo ad intraprendere una serie di scontri per i quali, almeno all’inizio, prevedono solo vantaggi locali. Nessuno né localmente, né a Tokyo immagina ancora in quel momento, una guerra generalizzata contro la Cina.

Paradossalmente l’invasione viene provocata del principale esponente della repubblica cinese, il nazionalista Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek). È lui a non voler accettare le richieste nipponiche e a schierare truppe scelte davanti a Shangai, mentre nei dintorni di Pechino avvengono gli incidenti del 7 luglio. È sempre lui, infine, a trasformare uno scontro locale in guerra generale. Jieshi spera con questa mossa di compattare il popolo cinese e tagliare l’erba sotto i piedi, del leader comunista Mao.

La guerra divampa senza che Tokyo riesca a stabilire un preciso obiettivo da conseguire. La mera conquista territoriale della Cina è fuori portata, troppo grande l’estensione territoriale del gigante asiatico per le risorse umane a disposizione dell’Impero del Sol Levante. Se meglio esaminata, la guerra con la Cina ha più i tratti di una spedizione punitiva. Non solo: è proprio la Cina a imporre il suo ritmo. Davanti a Shangai l’armata di Jiang Jieshi resiste dall’agosto al novembre 1937, facendo fallire i propositi nemici.

Il terrore nipponico

Le perdite subite dai giapponesi vanificano l’esito di questa spedizione punitiva. La dottrina militare giapponese è forgiata essenzialmente su quella prussiana, per questo i vertici militari nipponici cercano di uscire da una guerra di logoramento, imboscate e scaramucce, attraverso una “battaglia decisiva”. A fine 1937, il Giappone pensa di aver trovato la battaglia che deciderà le sorti della guerra. I reparti giapponesi, guidati dal generale Iwane Matsui, attaccarono e riuscirono a conquistare con relativa facilità la città di Nanchino, entro il 13 dicembre 1937 dopo aver superato le massicce mura che circondavano la città. Le truppe cinesi ripiegarono in disordine verso ovest. ma Jiang Jieshi continuerà a battersi.

Fallita la spallata militare Tokyo inaugurerà una politica del terrore che inizia proprio a Nanchino. Lo “stupro di Nanchino” come viene ricordato si consuma tra il dicembre 1937 e il gennaio 1938 quando i soldati giapponesi, dando prova di una ferocia bestiale, uccisero circa 300.000 persone. Il terrore però non piegherà la resistenza cinese e neppure la politica di strangolamento economico che Tokyo adotterà nella speranza di fiaccare il nemico.

Paradossalmente, per ragioni geopolitiche connesse al secondo conflitto mondiale, la Cina dichiarerà formalmente guerra al Giappone soltanto nel dicembre del 1941. Dopo l’attacco nipponico a Pearl Harbour, la Cina inizierà a ricevere aiuti dagli Alleati, armi, munizioni, istruttori militari. La guerra sino-giapponese si concluderà in concomitanza con la fine della seconda guerra mondiale. Mentre Stalin attaccava i nipponici in Manciuria sbaragliando un esercito di un milione di uomini, male equipaggiato e con il morale a terra, le truppe giapponesi in Cina si arresero ufficialmente il 9 settembre 1945.  

Conclusioni

Torniamo alla domanda iniziale, è stata l’invasione della Cina a segnare la sconfitta militare nel Pacifico del Giappone? È indubbio che l’Impero del Sol Levante abbia pagato un tributo di sangue pari a quasi mezzo milione di militari, tra il 1937 e il 1945 in Cina, falcidiati dalla guerra e dalle malattie. Ma queste perdite, per altro nella maggioranza tra soldati poco addestrati, non possono costituire una ragione sufficiente per un paese che vantava 75 milioni di abitanti.

La maggioranza degli armamenti più sofisticati e tecnologicamente avanzati non saranno impiegati nella guerra contro la Cina ma utilizzati per fronteggiare gli Stati Uniti. La ragione principale della sconfitta contro gli Alleati risiede nella mancanza di materie prime e industrie in grado di sostenere una produzione bellica all’altezza della sfida innescata con l’attacco a Pearl Harbour. In particolare l’incapacità di ampliare e ricostituire, in seguito alle inevitabili perdite, una massiccia forza aeronavale indispensabile per fronteggiare con successo gli statunitensi, sarà la causa principale della sconfitta nipponica. Già prima del 1937, gli armamenti giapponesi erano limitati, la capacità industriale è insufficiente e mancavano militari specializzati come ad esempio i piloti.

L’errore fatale, quello che realmente affossa la guerra nel Pacifico, è il tentativo nipponico di imporsi sull’Indocina, perché porta allo scontro definitivo con Washington e con Londra. Questa scelta più che l’invasione della Cina, che sia ben chiaro comunque complicherà la gestione della guerra, condurrà il Giappone ad una rovinosa sconfitta.

Per saperne di più:

La prima guerra dell’oppio

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

AA.VV.,. I grandi errori della II guerra mondiale: Le decisioni sbagliate, le catastrofi annunciate, i fallimenti militari (

Natale Seremia

Appassionato da sempre di storia e scienza. Divoratore seriale di libri e fumetti. Blogger di divulgazione scientifica e storica per diletto. Diversamente giovane. Detesto complottisti e fomentatori di fake news e come diceva il buon Albert: "Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, riguardo l’universo ho ancora dei dubbi."

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