La Werhmacht è stata la forza armata più “moderna” ed efficiente del secondo conflitto mondiale. La sua dottrina militare, la Bewegungskrieg, la guerra di movimento a livello operativo la portò almeno fino ai primi mesi del 1942 ad una serie di clamorose e rapide vittorie. I problemi per l’esercito tedesco e l’Oberkommando der Wehrmacht (OKW) nascevano quando l’aggressione veloce e brutale si arrestava per la resistenza del nemico o per lo sfilacciamento della rete logistica.
In questo articolo esamineremo brevemente uno degli esempi da manuale di una Bewegungskrieg breve e vincente: l’invasione e l’occupazione della Jugoslavia, ovvero la cosiddetta “Operazione 25”.
L’antefatto dell’invasione
L’esigenza di occupare la Jugoslavia nasce in seguito ad un colpo di stato filo alleato che avviene a Belgrado, nella notte tra il 26 e 27 marzo 1941. Gli alti comandi tedeschi organizzano il piano d’attacco in pochissimo tempo, con quella geniale capacità di improvvisazione tipica della Wehrmacht. Il piano d’invasione presentava qualche lacuna e lo stesso nome in codice, Operazione 25, anonimo e insolito, rivela la fretta con la quale venne predisposto.
La Jugoslavia, regno nato dalla fusione del Regno di Serbia con quello dei Croati e Sloveni nel 1918, era un paese multietnico e turbolento. Le tensioni interne erano acuite dall’invasione tedesca dell’Europa e dall’ascesa al potere di Hitler. Nel 1940, la Germania aveva già annesso parte della Slovenia e appoggiato un colpo di stato in Jugoslavia, instaurando un governo filo-nazista guidato da Dragoljub Mihailović. Il colpo di stato del 26 marzo destituiva Mihailović e cercava di riposizionare politicamente la Yugoslavia.
Il piano d’invasione
Il piano d’invasione prevedeva uno dei concetti cardine delle dottrina militare tedesca ovvero l’attacco concentrico, nel quale colonne convergenti stringevano sul difensore da tutte le direzioni rendendogli impossibile il ristabilimento di una linea difensiva coerente e omogenea. Il fatto che Ungheria, Bulgaria e Romania fossero tutte saldamente sotto controllo delle forze dell’Asse rendeva questo principio ancora più facilmente applicabile.
Le forze d’attacco tedesche (e marginalmente con funzioni essenzialmente di supporto, italiane e ungheresi) furono disposte lungo una gigantesca mezzaluna lunga oltre 650 chilometri. Lo Schwerpunkt, o punto di massimo sforzo, si articolava su ben tre potenti colonne meccanizzate che convergevano sulla capitale, Belgrado. A destra, il XXXXVI Panzerkorps (2. Armee) si sarebbe schierato a Nagykanisza in Ungheria.
Al centro, l’indipendente XXXXI Panzerkorps al comando del generale Georg-Hans Reinhardt, che comprendeva anche la 2. (mot.) SS-Division, il Großdeutschland (mot.) Infanterie-Regiment, e l’Hermann Göring Panzer-Regiment doveva compiere il balzo più breve verso Belgrado, un colpo secco in direzione sud. Infine, all’estrema sinistra, il 1. Panzergruppe avrebbe inviato due Korps (il XIV Panzer e l’XI) attraverso la frontiera bulgara, si sarebbe diretto verso Nis, per poi ruotare verso nord.
11 giorni di campagna
La conversione delle tre colonne verso la capitale Belgrado costrinse le forze jugoslave inferiori come equipaggiamento ad affrontare le forze naziste in battaglie campali allo scopo, scriteriato, di difendere ogni centimetro di territorio jugoslavo. Le forze di riserva erano inadeguate e globalmente consistevano in 3 divisioni di fanteria e una di cavalleria.
Pur sfruttando i numerosi corsi d’acqua (Drava, Sava, Morava e Danubio) come barriera difensiva naturale l’esercito jugoslavo nel tentativo di respingere l’invasione si trovò sfilacciato lungo quasi 2500 chilometri di fronte. Per organizzare una resistenza credibile ed efficace, il comandante supremo jugoslavo, il generale Dusan Simovic, che era stato uno degli ispiratori del colpo di stato, avrebbe dovuto abbandonare al nemico gran parte del territorio jugoslavo, concentrandosi intorno alla capitale oppure in un’area del paese più idonea ad una difesa ad oltranza.
Come si può intuire si trattava di una scelta dal punto di vista politico inaccettabile. Il 6 aprile 1941, esattamente undici giorni dopo il colpo di stato, la Wermacht attaccava.
L’attacco fu preceduto da un bombardamento aereo di Belgrado, la capitale jugoslava. Le forze jugoslave, mal equipaggiate e disorganizzate, furono rapidamente sopraffatte. L’invasione durò solo 11 giorni, con la resa incondizionata della Jugoslavia il 17 aprile.
Conseguenze
La Jugoslavia fu smembrata e i suoi territori divisi tra le potenze vincitrici. La Germania annesse la Slovenia settentrionale e la parte occidentale della Serbia. L’Italia occupò la Dalmazia, il Montenegro e parte della Croazia. L’Ungheria si impadronì della Vojvodina. Bulgaria e Romania ottennero rispettivamente piccole porzioni del sud-est del paese.
Oltre alla spartizione territoriale, l’invasione tedesca ebbe conseguenze drammatiche per la popolazione jugoslava. Seguirono anni di occupazione brutale, caratterizzati da crimini di guerra, violenze etniche e deportazioni. Si stima che circa 500.000 jugoslavi morirono durante il conflitto.
Per saperne di più:
Fonti:
Citino, Robert M.. 1942 L’arresto della Wehrmacht