giovedì, Settembre 19

Perché la notte è buia?

A molti di noi sarà capitato, almeno una volta nella vita, di osservare il cielo notturno in una zona scarsamente popolata e priva di inquinamento luminoso. Lo spettacolo che si offre in quelle occasioni è semplicemente fantastico, la volta celesta pullula letteralmente di stelle, anche se i corpi celesti più luminosi sono, a parte la Luna, i nostri vicini planetari: Venere, Giove e Marte. Risplendono perché riflettono la luce del Sole, che si nasconde alla nostra vista, dall’altra parte della Terra, durante la notte.

Stelle vicine e lontane

Le stelle più vicine al Sistema Solare sono a diversi anni luce di distanza. Per avere un’idea delle distanza il nostro Sole è solo a 8 minuti luce dalla Terra, mentre la stella più vicina in assoluta è Proxima Centauri, lontana poco più di quattro anni luce. Nonostante la “relativa vicinanza” Proxima non è la stella più luminosa del nostro firmamento, questo record spetta a Sirio, due volte più lontana.

Un’altra stella molto luminosa è Rigel, molto distante ma grandissima, una supergigante blu, grossa 78 volte il Sole e 85000 volte più luminosa, che rappresenta la stella più luminosa nella nostra regione di galassia. Tutte le stelle che vediamo nel cielo appartengono alla nostra galassia, anzi a una regione relativamente piccola di essa. In condizioni ideali, ad occhio nudo dovremmo essere in grado di vedere diverse migliaia di stelle e molte centinaia di migliaia attraverso un telescopio.

Una piccola frazione rispetto ai 200-400 miliardi di stelle che popolano soltanto la Via Lattea. Le stelle non sono distribuite uniformemente nella galassia. Al contrario del Sole, che se ne sta da solo, la maggior parte si trovano in coppia o in gruppo, e orbitano l’una attorno alle altre.

L’universo è immenso (se non addirittura infinito) e il numero di stelle quindi incommensurabile. In via di principio dovunque si posi il nostro sguardo dovremmo essere “irradiati” dai fotoni provenienti da moltissime stelle, eppure durante la notte il cielo è buio. Il cielo dovrebbe splendere sia di giorno che di notte. Perché invece questo non accade e la notte è buia?

Obiezione, Vostro Onore

Le prime obiezioni che si pongono di fronte a questa considerazione riguardano l’estrema lontananza della maggior parte delle stelle che emetterebbero una luce troppo fioca per essere visibile e il fatto che le stelle non sono distribuite in modo uniforme, raggruppandosi in concentrazioni che definiamo galassie.

Entrambe le obiezioni come vedremo non sono fondate e non spiegherebbero quello che viene chiamato il paradosso di Olbers. Per quanto riguarda la prima obiezione è vero che le stelle più lontane appaiono più fioche rispetto a quelle vicine ma l’area del cielo corrispondente a queste stelle lontane, proprio perché sono lontane, rappresenta un volume di universo molto più grande, e quindi conterrà molte più stelle. Questa maggiore concentrazione stellare, come si può dimostrare geometricamente, compensa la minore luminosità delle singole stelle: esattamente: per ogni area del cielo, le stelle vicine, meno numerose, dovrebbero avere una luminosità totale uguale a quelle più numerose e più distanti.

Per quanto riguarda la seconda obiezione, anche in questo caso è vero che le stelle non sono distribuite in modo uniforme nello spazio e che si raggruppano in galassie. Al di la della Via Lattea i punti di luce che osserviamo con i telescopi non sono quindi singole stelle ma intere galassie. Si tratta quindi di un effetto che dovrebbe essere simile a quello stellare ai fini dell’illuminazione perenne del nostro pianeta.

Le origini del paradosso di Olbers

La risposta al perché la notte è buia nonostante l’apparente contraddizione con quanto esposto finora è stata risolta tutto sommato recentemente. La questione fu posta ufficialmente da un articolo del medico e astronomo dilettante Heinrich Wilhelm Olbers, vissuto a Brema, in Germania, nel secolo XIX e passato alla storia come il “paradosso di Olbers”. Olbers però non era stato certamente il primo a porsi questo problema. Il primo ad interrogarsi su questa apparente incongruenza era stato nel 1576 il grande Copernico.

Olbers secoli dopo offrì una soluzione a quello che sarebbe diventato il suo paradosso che si rivelò fallace. Propose l’ipotesi che lo spazio non fosse vuoto ma pieno di polvere e di gas interstellare, che bloccava la luce delle stelle e delle galassie più distanti. L’errore di Olbers stava nel fatto che data l’età dell’universo (circa 14 miliardi di anni), questo materiale interstellare si sarebbe surriscaldato lentamente a causa della luce assorbita, e quindi avrebbe brillato di luce propria con la stessa intensità delle stelle (o galassie) che nasconde alla nostra vista.

Entra in campo Einstein

Un punto di svolta per poter sbrogliare la matassa del buio notturno si verifica nel 1915 quando Albert Einstein pubblica la sua Teoria della Relatività Generale, all’interno della quale, la gravità non è una forza invisibile e misteriosa come teorizzato da Newton, ma piuttosto una misura della forma stessa dello spazio attorno alle masse.

All’epoca si riteneva che l’universo fosse statico e finito, per quanto molto vasto. Questo comportava per Einstein un grosso problema. Se, in un dato istante, tutte le galassie nell’universo sono ferme le une rispetto alle altre e l’universo è finito, l’attrazione gravitazionale dovrebbe farle avvicinare tra loro, dando inizio a un gigantesco collasso. Per ovviare a questa incongruenza Einstein introdusse attraverso un formalismo matematico la cosiddetta costante cosmologica. Una forza uguale e contraria che bilanciava il temuto collasso gravitazionale dell’universo.

Un universo dinamico e in espansione

Nel 1922 un cosmologo russo, Aleksandr Friedmann teorizzò che l’universo fosse tutt’altro che statico. Ad avvalorare l’intuizione di Friedmann fu l’astronomo Edwin Hubble, il primo a dimostrare l’esistenza di galassie al di là della Via Lattea. Fino ad allora si riteneva infatti che l’universo fosse interamente rinchiuso nella nostra galassia, la Via Lattea.

Ancora più importante fu la scoperta fatta da Hubble che le galassie più lontane si allontanano da noi a una velocità che dipende dalla loro distanza dalla Terra. E che questo avveniva in qualsiasi direzione si puntasse il telescopio. Hubble teorizzò pertanto che andando indietro nel tempo la concentrazione della materia (stelle e galassie) cresceva, fino ad arrivare al momento della nascita dell’universo quando il tutto era “racchiuso” in una singolarità che poi darà via al Big Bang, termine coniato da Fred Hoyle durante una trasmissione radiofonica della BBC Radio del marzo 1949 in senso dispregiativo, riferendosi ad esso come “questa idea del grosso botto“.

È bene chiarire ancora una volta che l’espansione dell’universo non riguarda le galassie in senso stretto ma lo spazio tra loro che si espande. Inoltre galassie tra loro vicine subiscono la “maggior” forza dell’attrazione gravitazionale e marciano verso una “fusione”. È quello che, ad esempio, sta accadendo con Andromeda, la galassia più vicina alla Via Lattea che invece di allontanarsi a 50 chilometri al secondo, si sta avvicinando a 300 chilometri al secondo. La collisione tra le due galassie è prevista tra diversi miliardi di anni.

L’espansione tra le galassie sembra inoltre essere accelerata da una forza che al momento non conosciamo e che senza molta fantasia è stata battezzata “energia oscura“. I cosmologi oggi credono che l’universo abbia iniziato la sua espansione con il Big Bang quasi 14 miliardi di anni fa, ma, mentre per i primi 7 miliardi di anni la velocità di espansione rallentava, a causa dell’attrazione gravitazionale della materia, in seguito, nei successivi 7 miliardi di anni, la materia (cioè le galassie) era così rarefatta che la gravità ha perso la presa.

Per questo si ritiene che l’universo non collasserà mai ma tra eoni di tempo “finirà” per morte termica, quando tutto si allontanerà da tutto, per sempre. Il quadro sommariamente tracciato ci offre la soluzione del paradosso di Olbers, una soluzione semplice, empirica che non richiede profonde conoscenze di fisica.

La soluzione del paradosso di Olbers

Di notte è buio, semplicemente perché l’universo ha avuto un inizio. La luce viaggia all’incredibile velocità di circa 300.000 chilometri al secondo. Questa fantastica velocità che rappresenta il limite estremo è però poca cosa di fronte all’immensa vastità del cosmo. La distanza che ci separa dalle stelle della nostra galassia e ancor di più da quelle delle altre galassie è tale che la luce impiega anni a raggiungerci anche dalle stelle più vicine.

Il fatto che la velocità della luce sia un fattore finito ci aiuta a spiegare il paradosso di Olbers. Avendo l’universo circa 14 miliardi di anni, possiamo vedere solo le galassie abbastanza vicine, tanto che la loro luce ha avuto tempo sufficiente per arrivare a noi. L’espansione dell’universo ha poi complicato ancora di più le cose. La luce di una galassia lontana dieci miliardi di anni luce sta viaggiando verso di noi da dieci miliardi di anni, ma in questo tempo lo spazio tra noi e la galassia si è dilatato e quindi la galassia è in realtà molto più lontana.

In conclusione le stelle che possiamo “vedere” sono soltanto una piccola frazione dell’universo visibile, siamo di fronte a quello che possiamo definire un “orizzonte temporale“. Insomma la luce degli oggetti più lontani non riesce a stare al passo con l’espansione dell’universo. Questo è in fondo la spiegazione tutto sommato banale del perché la notte è buia. La cosa divertente è che il primo ad offrire una spiegazione convincente di questo paradosso non fu un astronomo o un fisico, ma uno scrittore e poeta americano, Edgar Allan Poe.

A trentanove anni, un anno prima di morire, Poe scrisse Eureka un poema in prosa, un singolare saggio infarcito di teorie cosmologiche sulla natura dell’universo, alcune davvero sballate. In un passaggio però Poe, affidandosi al solo buon senso, dava una convincente spiegazione al paradosso di Olbers:

“Se la successione delle stelle fosse infinita, lo sfondo del cielo avrebbe una luminosità uniforme, come quella della nostra Galassia, perché non potrebbe esserci assolutamente nessun punto, in tutto lo sfondo, privo di una stella. Il solo modo, perciò, in cui potremmo comprendere i vuoti osservati dai nostri telescopi in tutte le direzioni, sarebbe di supporre che la distanza dello sfondo è così grande che nessun raggio luminoso possa aver ancora avuto il tempo di raggiungerci.”

Fonte:

alcune voci di Wikipedia

Al-Khalili, Jim. La fisica del diavolo

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