Il suo appellativo è piuttosto minaccioso, “fico strangolatore”, e per certi versi si potrebbe paragonare ad un vero omicida, spietato e senza scrupoli, che procura una morte lenta, ma inesorabile, della vittima. Molto alto, fino a circa 50 metri, ha frutti viola o neri. I semi, portati lontano dagli uccelli, che si nutrono dei frutti, se finiscono su alberi abbastanza alti, e quindi meglio esposti al sole, vi germinano come piante epifite.
Al contrario delle orchidee tropicali, che sviluppano radici aeree, assorbendo acqua dall’umidità dell’aria attorno, il fico fa calare le sue radici fino a terra, per trovare acqua e sostanze nutritive nel terreno. Esse si saldano poi insieme, formando una formidabile guaina avvolgente, che causa la morte dell’abero, ormai oscurato. Invece i semi caduti a terra, nell’ombra, non hanno molte probabilità di sviluppo.
Il tasso, che può arrivare ai 28 metri, ha forse una fama ancora peggiore, come “albero della morte”. Infatti tutte le sue parti sono assai velenose, eccetto gli arilli, non frutti reali, ma escrescenze dolciastre, che avvolgono il seme. La sostanza mortale è la tassina, che, oltre ai tremori ed alla debolezza iniziali, causa poi una paralisi cardiaca e respiratoria.
In generale, i veleni delle piante sono armi chimiche efficienti usate contro i predatori, che possono causare forti mal di stomaco o addirittura morte. Una delle più velenose è l’aconito, il cui succo delle radici veniva usato nelle frecce dai Germani, ma era anche adoperato adoperato in dosi limitate in medicina tradizionale per sedare dolori nevralgici. Altre piante velenose sono il ricino e l’abro (semi), la cicuta maggiore e quella maculata, l’oleandro, il bosso e la digitalis.
Il vischio, pur essendo sempreverde, capace di compiere la fotosintesi, e quindi di costruirsi da sé gli zuccheri, assorbe acqua e nutrimenti da meli, pioppi e biancospini, facendoli quindi indebolire nel tempo. La Hyduora, detta “cibo degli sciacalli”, vivendo sottoterra, ruba le sostanze nutritive dalle radici di altre piante. La sua impollinazione è favorita dall’odore di feci emesso dai fiori carnosi. Invece spandono odore di carne marcia i fiori giganteschi (larghi circa un metro) della Rafflesia, priva di foglie, che passa quasi tutta la vita in sottili filamenti, nei rampicanti, nutrendosi a loro spese.
Sono davvero tante le piante che possono causarci danni più o meno gravi, ma i loro veleni, se impiegati in dosi limitate ed opportune, possono rivelarsi utili per combattere disturbi e malattie. Basti pensare che l’aconito nel passato era molto usato per sedare i dolori di origine nevralgica. Nel bosso, già sfruttato contro la gotta, nell’insufficienza biliare e nei disturbi nervosi, è presente un alcoloide, che inibisce lo sviluppo di cellule tumorali.
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