giovedì, Settembre 19

Salvate il compagno Lenin…pardon, la sua mummia!

Le prime settimane dell’Operazione Barbarossa sono travolgenti. Le divisioni corazzate di Hitler macinano centinaia di chilometri mentre sbriciolano i reparti sovietici completamente sorpresi ed impreparati all’attacco nazista.

Dopo alcuni giorni di crollo psichico che fanno temere al Politburo che Stalin abbia perso la ragione, il dittatore georgiano si riprende e il 24 giugno 1941, consapevole che l’Unione Sovietica perderà gran parte del territorio europeo costituisce un Consiglio per l’Evacuazione che aveva il compito strategico di spostare intere fabbriche e la relativa manodopera nelle regioni orientali, lontano dalla portata dei tedeschi.

Sotto questi auspici, circa 50.000 fabbriche e officine vennero presto spedite a oriente, tra esse anche 2593 delle aziende più grandi. Le loro attrezzature vennero smantellate, caricate e poi riassemblate nella nuova località da operai evacuati, spesso in condizioni dure e brutali.

Il 3 luglio Stalin però decise un’altra essenziale evacuazione: quella delle spoglie mummificate di Lenin dal mausoleo della Piazza Rossa di Mosca a Tjumen, una cittadina più di duemila chilometri a est. L’importanza di salvare la mummia di Lenin era non meno fondamentale che preservare una parte significativa dell’apparato produttivo sovietico.

Le spoglie del leader indiscusso della Rivoluzione bolscevica erano essenziali per l’idealizzazione della mitologia rivoluzionaria e puntellare il potere del suo successore: Stalin. Se i tedeschi fossero riusciti a prendere Mosca, cosa che nel luglio del 1941, sembrava altamente probabile ed avessero messo le mani sulla mummia di Lenin sarebbe stato un contraccolpo durissimo sia dal punto di vista politico che psicologico.

Sarebbe stato il trionfo del fascismo sul comunismo, di Hitler su Stalin. Mantenere integro il corpo di Lenin non era facile nemmeno nel Mausoleo di Mosca figuriamoci durante un trasporto ferroviario per 2000 chilometri nel pieno dell’estate russa.

Furono convocati Boris Zbarsky, uno dei due uomini che avevano compiuto l’audace impresa di imbalsamare il corpo di Lenin, rimuovendo gli organi interni e immergendolo in bagni chimici, suo figlio Ilya ed altri tecnici con il compito di mettere in salvo la mummia di Lenin.

La sera del 3 luglio, automobili dell’NKVD presero a bordo Boris, Ilya, Sergej Mardashev, un altro membro del gruppo, e le loro famiglie, e li depositarono presso un binario di raccordo della stazione Jaroslavkij di Mosca. Li salirono sul treno speciale che avrebbe trasportato le spoglie di Lenin con una scorta di 40 guardie del Cremlino per un viaggio di 4 giorni.

Il treno era privo di qualsiasi impianto di refrigerazione ed il gruppo di scienziati e tecnici dovette lavorare duramente per evitare che la mummia di Lenin si deteriorasse sotto il caldo sole di luglio. Furono oscurate i finestrini con delle tende e il gruppo di tecnici fece a turno ininterrottamente, notte e giorno, nel tamponare il corpo con liquidi speciali mentre il treno procedeva nell’immensa pianura russa.

A Tjumen, Lenin venne trattato come un «oggetto segreto», nascosto e guardato a vista in una villa zarista a due piani. Anche qui gli esperti dovettero fare i conti con la mancanza di refrigerazione, immergendo il corpo per il 70% del tempo, secondo le stime di Ilya, in bagni chimici.

Anche quando nel 1942 fu chiaro che i tedeschi non sarebbero riusciti a prendere Mosca, Stalin preferì tenere la mummia di Lenin a Tjumen fino al marzo del 1945.

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