Categories: Letteratura e libri

“Sono una creatura”: riflessioni sull’umanità del soldato.

1916: è l’anno di pubblicazione de “Il porto sepolto”, prima raccolta di versi ad opera di Giuseppe Ungaretti, di cui “Sono una creatura” è parte; pubblicato a Udine – in ottanta copie – dall’amico poeta, e altrettanto soldato, Ettore Serra.

È anche un anno di guerra – la Grande guerra – : il ventott’enne Giuseppe, secondogenito di Maria Lunardini (1850-1926) e Antonio Ungaretti (1842-1890)  – di origini lucchesi, ma trasferitisi in Alessandria d’Egitto, dove nasce il poeta nel 1888 – si trova al fronte, sul Carso.

È uno dei tanti soldati italiani provati da un anno di combattimenti con armamenti e tecniche di guerra innovative atte a distruggere ‘il nemico‘; è uno dei milioni di uomini che, dai diciotto ai trent’anni – per la maggior parte – , vive la propria quotidianità tra confusione e sofferenza, a ‘braccetto con la morte’..

In trincea, nei pochi attimi di pace “tra un tiro e l’altro”, Ungaretti compone le poesie de “Il porto sepolto” ed una parte della seconda raccolta: “Allegria di naufragi” – edita per la prima volta nel 1919, ma suscettibile di modifiche fino all’edizione definitiva degli anni ’40 – ; in frammenti di tempo in cui la sua mano può scrivere ciò che la mente elabora del suo essere ‘uomo in arme’.

Involucri di pallottole, spazi bianchi di cartoline, carta straccia: sono questi i materiali di fortuna che si offrono a lui per la frettolosa composizione poetica; nell’impossibilità di dilungarsi, di prendere tempo.

Tra singole parole in versi liberi, con l’essenzialità espressiva necessaria, nascono le poesie del Carso; il bisogno di umanità di Giuseppe Ungaretti. 

Il poco tempo a disposizione porta fretta alla composizione poetica, eppure è il tempo stesso che caratterizza la poesia “Sono una creatura”: quelle poche parole messe frettolosamente ‘in riga‘, per così dire; la punteggiatura inesistente, quasi come non esistesse più un ordine, un tempo, caratterizzano esattamente il ritmo straziante, incalzante, e silente insieme, del componimento, così come dell’anima del poeta.

“Il fante Ungaretti in trincea con un compagno d’armi”.

La guerra – come la vita, afferma Ungaretti – è un continuo naufragio, ed è nei pochi momenti di navigazione serena che il poeta può condividere con il mondo il proprio sentimento, il dolore della morte che prevale sulla vita, non come dato naturale, ma come fatto di civiltà.

Il ‘naufragio’ di Ungaretti in trincea, l’immersione autentica nel pericolo e nella sofferenza, sono motivi che lo costringono a rivoluzionare il linguaggio dei suoi versi, a demandare alla parola singola il senso di un pensiero, lo strazio di un vuoto, il dissenso nei confronti di una lotta senza tempo.. 

 È forse, dunque, il cuore di Ungaretti a dare senso ‘al tempo senza tempo’ di “Sono una creatura”? 

Eccoci ad ascoltare le parole così cariche di sentimento: il “sentimento del tempo“.

Come questa pietra..” : è dare senso umano alla natura, o uccidere il battito del cuore, tipico dell’uomo? La pietra, “del San Michele“: il luogo in cui si combatte, per cui si viene catapultati in uno scenario reale, di guerra.

E’ fredda, dura, prosciugata, refrattaria.. è totalmente disanimata..

Una descrizione che porta alla compassione nei confronti della pietra; è disanimata perchè svuotata, ma contemporaneamente animata, perchè è a lei che Ungaretti si confida, a lei che si paragona, ritrovandosi nel suo ‘essere natura’, ancor prima che Uomo. È a lei che dà il compito di raccontare la sua profonda tristezza, il senso di smarrimento e diffidenza per una morte camuffata in lotta per la vita.

Ancora: “così freddacosì duracosì prosciugatacosì refrattariacosì totalmente disanimata..”

L’accumulazione ascendente delle parole di questa prima strofa aumentano il battito, il senso di sgomento, di incapacità di guardare alla vita; Ungaretti uomo è attaccato alla vita, e la ama perchè possibilità d’amare, perchè possibilità di sentirsi parte di un tutto; fratello, tra fratelli.

Al contrario, la sua pietra, compagna di guerra, è prosciugata, refrattaria e totalmente disanimata: le privazioni che il ’15-’18 comporta sono fisiche e spirituali; questa pietra, evocata e immaginata come tozza, è in realtà priva di energia vitale, così come il povero poeta, così come ognuno dei soldati.

L’ideale della guerra, propagandato come lotta per la libertà, per la vita – come ricorda Ungaretti – non può liberare nessuno; al contrario, rappresenta l’atto più bestiale dell’uomo, atto che non può far altro che promuovere se stesso, mentre svuota l’umanità del proprio senso di appartenenza, fratellanza, di vita come condivisione di vite.

Monte San Michele; in memoria della guerra combattuta tra Luglio 1915 e Agosto 1916

Come questa pietraè il mio piantoche non si vede“:

Ungaretti è vissuto in un’epoca che la tradizione tedesca definisce ‘Buildung’: formazione, adattamento ed introiettamento di un modello che non lascia molto spazio all’espressione personale; al contrario, impone alla persona il ruolo di ‘uno perchè in tanti’.

Forse per questo è un pianto che non si vede; non si è soliti mostrare al mondo la propria sensibilità, soprattutto per il genere maschile, il genere che combatte. Oltre le apparenze, il soldato è uomo, oltre l’immagine di virilità assoluta ed imposta, c’è un cuore, una vita vissuta, delle esperienze patite o desiderate; c’è quel che la guerra non permette di vivere: l’essere.

Oltre a ciò, il pianto che non si vede, è ciò che di più profondo, segreto, e dunque poetico, Ungaretti ci trasmette con “Sono una creatura“; chissà cosa provi quella pietra, ad essere terreno di battaglia; è forse Ungaretti a svelarcelo, rivedendosi in lei..

La morte

si sconta

vivendo.

Valmont57

Diversamente giovane, fondatore di Wiki Magazine Italia, (già Scienza & DIntorni), grande divoratore di libri, fumetti e cinema, da sempre appassionato cultore della divulgazione storica e scientifica.

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