Nella storia della musica, alcune canzoni hanno superato i confini dei generi diventando veri e propri manifesti per i diritti sociali, inni contro guerre, discriminazioni, ingiustizie e abusi di potere.
Tra queste, una in particolare ha lasciato un segno indelebile nella storia del rock, portando l’attenzione del mondo su un conflitto che si trascinava da decenni e di cui si stava dimenticando l’esistenza.
Il brano venne presentato al pubblico per la prima volta nel 1982, durante un concerto a Belfast, con le parole “Si chiama Sunday Bloody Sunday, parla di noi, dell’Irlanda. Ma se non piacerà a voi, non la suoneremo più.”. L’ovazione che ne seguì consacrò la canzone, rendendola la traccia di apertura di War, l’album pubblicato l’anno seguente.
Ma Sunday Bloody Sunday non è solo un brano, è il grido di denuncia degli U2 contro l’orrore del conflitto nordirlandese. Per coglierne appieno il significato, però, è necessario fare un passo indietro e ricostruire il contesto storico in cui ha preso vita.
L’Irlanda del Nord, nella seconda metà del secolo scorso, fu testimone di una guerra intestina caratterizzata da diversi episodi sanguinosi, tristemente passati alla storia.
Uno di questi fu proprio La strage del Bogside, popolarmente chiamata Bloody Sunday – “Domenica di sangue” o “Domenica maledetta” – che ebbe luogo nel quartiere Bogside della città di Derry (o Londonderry (per gli unionisti).
Il 30 gennaio 1972, i parà inglesi – soldati del primo battaglione del Reggimento Paracadutisti dell’Esercito britannico – aprirono il fuoco su una marcia civile, uccidendo 14 persone, molte delle quali di età compresa tra i 17 e i 20 anni, e ferendone altrettante.
Quel giorno era stata organizzata una marcia di protesta pacifica, indetta dal Movimento per i diritti civili dell’Irlanda del Nord, alla quale presero parte migliaia di persone tra uomini, donne e bambini.
L’obiettivo era attirare l’attenzione del mondo sulle disuguaglianze subite dalla popolazione nordirlandese cattolica rispetto alla protestante britannica, in nome della parità di diritti sul lavoro, del diritto alla casa e della fine del voto per censo, ancora in vigore nelle province del Regno Unito.
Ma, purtroppo, l’attenzione del mondo si posò su quella giornata per motivi ben più tragici: attorno alle quattro del pomeriggio, quando i manifestanti raggiunsero il ghetto cattolico di Bogside, un reggimento speciale di paracadutisti inglesi iniziò a sparare senza pietà sulla folla con mitragliatrici pesanti. Ciò che accadde nelle ore successive avrebbe segnato per sempre la memoria collettiva dell’Irlanda.
In soli quindici minuti, 13 manifestanti persero la vita e 14 vennero feriti. Uno di loro morì nei mesi successivi per le ferite riportate. Si trattò di una vera e propria esecuzione: cinque vittime furono colpite alle spalle, mentre un’altra aveva le braccia alzate in segno di resa, gesto che purtroppo non gli salvò la vita.
La dinamica degli eventi fu chiara fin da subito: centinaia di prove, perizie balistiche e testimonianze confermarono che i soldati inglesi furono gli unici responsabili del massacro e che non vi fu alcun fatto scatenante che giustificasse l’uso della forza. I soldati avevano sparato sui civili inermi con l’intento di uccidere.
Eppure, nemmeno l’evidenza riuscì a rendere giustizia alle vittime, poiché il Governo Britannico insabbiò rapidamente l’accaduto, facendo credere che i paracadutisti avessero risposto al fuoco e che le vittime fossero legate all’IRA (Irish Republican Army), l’esercito ribelle indipendentista irlandese.
L’inchiesta aperta nei giorni seguenti si concluse in poco tempo: tutti i colpevoli vennero dichiarati estranei ai fatti o scagionati. Dopo questa immane goccia di sangue, il vaso traboccò: da quel giorno la protesta pacifica cambiò volto e assunse le sembianze di una vera e propria rivolta armata destinata a durare decenni.
Come spiega lo storico irlandese John Dorney:
“fino ad allora, la minoranza cattolica aveva creduto che lo Stato dell’Irlanda del Nord fosse riformabile e si era impegnata con manifestazioni e proteste pacifiche per far cessare le discriminazioni”.
Quel sogno fu presto infranto dalla Bloody Sunday, il cui risultato fu l’arruolamento di centinaia di giovani irlandesi nelle file dell’IRA, convinti che protestare pacificamente fosse utile solo per farsi uccidere.
Per comprendere come si sia arrivati a una tale frattura tra le due comunità, bisogna ripercorrere le origini della questione nordirlandese.
Fin dalla nascita dell’Irlanda del Nord nel 1921 (nazione che, insieme a Inghilterra, Scozia e Galles, costituisce il Regno Unito, distinta dallo Stato Libero d’Irlanda o Irlanda del Sud), la minoranza cattolica che vi abitava fu soggetta a condizioni di vita nettamente peggiori rispetto alla maggioranza protestante.
I cattolici erano relegati a una vita di povertà e discriminazione, privati di diritti fondamentali come il diritto alla casa, al lavoro e persino al voto. Questa situazione, destinata ad un malcontento crescente, portò alla nascita nel 1967 di un movimento studentesco a Derry, ispirato alle lotte di Martin Luther King e basato sulla disobbedienza non violenta.
Le manifestazioni pacifiche furono tuttavia brutalmente represse dal governo nordirlandese, con arresti di massa e violenze sia da parte della polizia che da parte degli estremisti protestanti.
Il controllo unionista sul governo del Nord era evidente e nessuno sembrava interessato a scendere a compromessi con la comunità cattolica. Questa situazione portò alla radicalizzazione del conflitto, con la nascita di movimenti di protesta e di resistenza.
Come la storia ci insegna, violenza genera altra violenza: gli scontri tra le due fazioni si intensificarono sempre più, con incendi di edifici cattolici e barricate erette per proteggere il ghetto di Bogside.
Gli slogan di protesta e resistenza imperversavano: “You are now entering Free Derry” è la scritta murale presente tutt’oggi, che segnava il punto d’accesso a quella che sarebbe diventata “la zona libera” di Derry.
Nel 1969, la situazione si deteriorò a tal punto che Londra mobilitò l’esercito britannico per sedare i disordini, innescando un’escalation di violenza culminata nella strage della Bloody Sunday del 30 gennaio 1972.
Dopo anni di incessanti campagne delle famiglie delle vittime, nel 1998 il governo di britannico avviò una nuova inchiesta che nel 2010 – dopo quasi 12 anni – riconobbe la colpevolezza dei paracadutisti della Corona per l’uccisione ingiustificata di 14 civili e il ferimento di altrettanti.
Finalmente, dopo 38 anni, il mondo sapeva che non vi fu nessuna battaglia per le strade della Free Derry, ma solo un orrendo abuso di potere culminato con la mattanza indiscriminata di civili inermi.
All’epoca dei fatti, Paul David Hewson – meglio conosciuto come Bono Vox – aveva solo 11 anni. Cresciuto a Dublino, in una famiglia interconfessionale con un padre cattolico e una madre protestante, si trovò sin da piccolo immerso nel clima di tensione del conflitto nordirlandese.
Il massacro della Bloody Sunday fu uno shock per l’intera nazione. Anche in un contesto già segnato dalla violenza, nessuno avrebbe immaginato che un esercito dell’Europa occidentale potesse compiere un simile atto alla luce del sole. Per gli irlandesi, fu un punto di non ritorno.
Quel giorno segnò profondamente la crescita di Bono, influenzando la sua sensibilità artistica e trovando eco nei testi e nelle melodie che avrebbe scritto negli anni a venire. Nei primi brani degli U2, composti quando era ancora giovanissimo, iniziarono a emergere temi come la spiritualità, l’amore e il desiderio di unità. Nonostante avesse solo 22 anni al momento della pubblicazione di Sunday Bloody Sunday, il pezzo trasmetteva una maturità e una consapevolezza straordinarie.
Nel live album Under a Blood Red Sky, Bono introduce il brano con parole emblematiche: “This is not a rebel song”, prendendo le distanze dalle tradizionali canzoni ribelli irlandesi. Il messaggio della canzone, infatti, va oltre la denuncia dei soldati inglesi: è il grido sgomento di un giovane cresciuto tra due fedi, incapace di comprendere come l’odio fratricida abbia preso il sopravvento sull’unione e sulla fratellanza.
Con Sunday Bloody Sunday, gli U2 condannano senza esitazione ogni forma di violenza perpetrata nel corso dei decenni, da entrambe le fazioni. Un messaggio ribadito anche nel documentario Rattle and Hum, girato durante il loro tour negli Stati Uniti, che sottolinea il rifiuto della band verso ogni tipo di conflitto armato.
Attraverso versi taglienti e immagini evocative, il testo di Sunday Bloody Sunday racconta con crudezza il dolore e l’assurdità della violenza, rendendo impossibile restare indifferenti di fronte alla tragedia. Ecco le parole che hanno reso questo brano un inno senza tempo:
I can't believe the news today
Oh, I can't close my eyes and make it go away
How long, how long must we sing this song?
How long? How long?
'Cause tonight
We can be as one
Tonight
Broken bottles under children's feet
Bodies strewn across the dead-end street
But I won't heed the battle call
It puts my back up, puts my back up against the wall
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Alright, let's go
And the battle's just begun
There's many lost, but tell me who has won?
The trenches dug within our hearts
And mothers, children, brothers, sisters torn apart
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
How long, how long must we sing this song?
How long? How long?
'Cause tonight we can be as one, tonight
Tonight, tonight (Sunday, Bloody Sunday)
Tonight, tonight (Sunday, Bloody Sunday)
Alright, let's go
Wipe the tears from your eyes
Wipe your tears away
I'll wipe your tears away
I'll wipe your tears away (Sunday, Bloody Sunday)
I'll wipe your bloodshot eyes (Sunday, Bloody Sunday)
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Sunday, Bloody Sunday
Yeah, let's go
And it's true we are immune
When fact is fiction and TV reality
And today the millions cry (Sunday, Bloody Sunday)
We eat and drink while tomorrow they die (Sunday, Bloody Sunday)
The real battle just begun (Sunday, Bloody Sunday)
To claim the victory Jesus won (Sunday, Bloody Sunday)
On Sunday, Bloody Sunday, yeah
Sunday, Bloody Sunday
Sunday Bloody Sunday non è solo una canzone di protesta, ma un monito senza tempo contro l’orrore della guerra e della violenza settaria.
Con il suo testo incisivo e il ritmo incalzante, che avanza come una marcia inarrestabile tra rabbia e dolore, il brano degli U2 ha dato voce alla sofferenza e all’indignazione di un popolo, trasformandosi in un simbolo di memoria e resistenza.
Ancora oggi, la sua eco risuona potente, ricordandoci che la storia non deve essere dimenticata e che la musica, con la sua forza emotiva e narrativa, può scuotere le coscienze e spingere alla riflessione.
Per saperne di più:
Il peso dell'anima. L'enciclopedia Treccani così definisce l'anima: "Nell’accezione più generica, come del resto nella…
I satelliti, alimentati da metallo solido, potrebbero un giorno utilizzare i detriti spaziali come carburante
Nell'articolo puoi guardare le immagini mozzafiato
Col suo folto e bianco mantello peloso, l'Orso polare si mimetizza bene sulle nevi e…
Nella giornata del fiocchetto lilla - disturbi alimentari - approfondiamo l’importanza del cibo nella nostra…