lunedì, Settembre 16

Viaggiare attraverso un wormhole

Nei post precedenti abbiamo rapidamente analizzati futuribili sistemi di propulsione spaziale (fusione nucleare e vele fotoniche) in grado di sostenere una colonizzazione umana al di fuori del Sistema Solare. Entrambi richiedono ancora decine di anni, forse anche un secolo e mezzo, prima di rappresentare una concreta possibilità, entrambi però sono largamente insoddisfacenti in ragione delle enormi distanze della nostra galassia e dell’intero universo.

Oggi concludiamo questo trittico di articoli prendendo in considerazione il più difficile ma straordinario sistema per viaggiare nelle sterminate distanze siderali: passare attraverso un wormhole. Il primo a scoprire l’esistenza di questa scorciatoia dello spaziotempo nelle equazioni relativistiche di Einstein, già nel 1916, fu il fisico viennese Ludwig Flamm. Oggi sappiamo che le equazioni di Einstein consentono molti tipi di wormhole (con numerose forme e comportamenti differenti), ma quello di Flamm è l’unico che sia esattamente sferico e che non contenga nessuna materia gravitazionale.

Flamm non chiamò questa soluzione matematica in questo modo, il nome wormhole (letteralmente buco scavato da un verme) gli fu affibbiato molti anni dopo da John Wheeler (1911-2008). uno dei pionieri nello studio della gravità quantistica. Il principio che fa di un wormhole un teorico mezzo per attraversare distanze inaudite è facilmente rappresentabile attraverso una mela. Per un piccolo verme la superficie del frutto rappresenta tutto il suo universo e può andare da un punto A ad un punto B semplicemente percorrendola, se però scava un piccolo tunnel al suo interno crea una potenziale scorciatoia tra i due punti. E’ quello che fa un wormhole tra due diverse regioni dell’universo lontane anche centinaia di migliaia di anni luce.

Per una ventina d’anni i fisici prestarono poca attenzione alla scoperta di Flamm fino a quando nel 1935, Einstein ed un suo allievo Nathan Rosen, ignari del lavoro svolto dal fisico viennese, riscoprirono la soluzione da lui trovata, esplorarono le sue proprietà e avanzarono delle congetture sul suo significato nel mondo reale. Da quel momento la comunità scientifica iniziò a chiamare questo fenomeno “ponte di Einstein-Rosen”.

Il problema di queste scorciatoia dell’universo è costituita dalla sua instabilità, ovvero da un ciclo che porta alla nascita, espansione e collasso del wormhole così repentina che neppure la luce riesce ad attraversare questo ponte tra due regioni dell’universo.

Più di venti anni dopo Kip Thorne ipotizzò che affinché un wormhole rimanesse stabile doveva contenere una certa quantità di materia esotica, ovvero materia con massa negativa. Materia che è stata anche prodotta in piccolissime quantità in laboratorio tra due piastre conduttrici di energia elettrica poste a distanza estremamente ravvicinata: si tratta del cosiddetto effetto Casimir.

Nonostante questa brillante soluzione di Thorne, che fra l’altro è stato anche consulente scientifico del film di fantascienza campione di incassi Interstellar, la maggior parte delle evidenze e degli studi suggerisce che i wormhole attraversabili sono impossibili.

Almeno per adesso….

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