lunedì, Settembre 16

Vita da allevatore

Se durante la stagione invernale il duro carico di lavoro dei coltivatori si riduceva sensibilmente, lo stesso non si può dire per gli allevatori. Per loro la stagionalità non aveva particolare influenza, gli animali hanno bisogno di essere nutriti e accuditi 365 giorni l’anno. Il bestiame costituisce una parte significativa della vita contadina medievale e anche gli agricoltori non rinunciano ad allevare animali da cortile e soprattutto il maiale di cui si utilizza la totalità del corpo.

Il maiale

L’importanza rivestita dal maiale durante il Medioevo può essere dimostrata dal fatto che la superficie delle foreste veniva misurata in “porci”. Le mandrie di suini pascolavano allo stato brado nelle selve imponenti, raggiungendo a volte notevoli dimensioni: per fare qualche esempio nel bosco di Alfiano, in Piemonte, si contavano circa 700 maiali; il monastero bresciano di Santa Giulia ne possedeva circa 1600; mentre nella tenuta della corte di Migliarina, vicino a Modena, se ne potevano contare addirittura 4000. Nei grandi allevamenti di maiale, una figura centrale e molto rispettata era il “maestro porcaro”, un allevatore specializzato nella cura del maiale, dalla sua nascita alla morte.

Generalmente il maiale veniva soppresso al termine della pastura, indicativamente nei mesi di novembre o dicembre, intorno al secondo o terzo anno di vita: veniva prima tramortito con un colpo alla testa e poi finito con un fendente tra le costole, dalla parte del cuore.

Allevamento e territorio

Attorno al XII secolo i contadini scelgono una parte del territorio non coltivata per il pascolo del bestiame. Si tratta di una scelta che implica un certo grado di cooperazione e intesa tra loro perché le bestie devono essere assemblate, marchiate e poi affidate ad un “professionista” del pascolo o a un abitante del villaggio che ha sviluppato una comprovata esperienza.

Per evitare problemi di sconfinamenti spesso si recintano i campi lasciati a maggese, una pratica agricola che consiste nella messa a riposo di un appezzamento di terreno per restituirgli fertilità. Il termine indica, per estensione, lo stesso terreno sottoposto a tale pratica, nonché il complesso delle operazioni necessarie per realizzarla.

La transumanza

Finché è possibile gli allevatori, soprattutto d’inverno e nei periodi di riproduzione, tengono le bestie in stalle o ricoveri di fortuna. In alcune regioni dell’Europa si pratica la transumanza,  la migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori che si spostano da pascoli situati in zone collinari o montane verso quelli delle pianure (nella stagione invernale) o viceversa (nella stagione estiva) percorrendo impervi sentieri naturali. L’allevamento da transumanza è una questione di uomini. Si tratta di una vita dura, che porta via da casa per mesi e che richiede una grande capacità di adattamento fisico.

Donne e allevamento

Se una donna possiede greggi o mandrie può ingaggiare dei salariati per la loro cura, se le sue finanze lo permettono. In alternativa può stipulare un contratto di soccida. Si tratta di un contratto diretto a costituire un’impresa agricola a natura associativa, nella quale si attua una collaborazione economica tra colui che dispone del bestiame (soccidante, concedente) e chi debba allevarlo (soccidario, allevatore).  Conosciuta già nel mondo romano, la soccida ebbe diffusione particolarmente nel Medioevo, adattandosi con grande varietà di svolgimenti ai bisogni e agli usi locali.

Un esempio di questa forma contrattuale ci perviene dai registri dell’inquisitore Jacques Fournier. Pierre Maury contratta con l’allevatrice Guillemette Maury, nei pressi di Tarragona, e dice: “Ho messo le pecore che possedevo in parsaria con Guillemette; dovevamo dividere a metà i guadagni e le perdite, e lei doveva farsi carico delle spese [per il mantenimento dei pastori e del gregge]”.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Treccani.it

Verdon, Jean. La vita quotidiana ai tempi del Medioevo

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