L’acido L-ascorbico meglio noto anche come vitamina C è una vitamina idrosolubile, essenziale nell’uomo, che però non è in grado di sintetizzarla metabolicamente. In genere mastichiamo queste pasticche, spesso dal colore arancione e dal gusto di arancia, quando siamo raffreddati o abbiamo un po’ di mal di gola. Nelle confezioni che compriamo in farmacia campeggiano quasi sempre immagini di arance o limoni, questo perché gli agrumi, ed in particolare i limoni, sono ricchi di vitamina C.
Peccato però che l’unico legame tra gli agrumi e la pasticca che stiamo succhiando è l’immagine di arancia o di limone riportata sulla confezione. La vitamina C venduta in farmacia è sintetizzata a livello industriale. Gli atomi di idrogeno, carbonio e ossigeno di cui è composta sono la risultante di una “lavorazione” chimica. Qualche produttore spaccia poi la “sua” vitamina C “naturale”, ad un prezzo ovviamente maggiorato, vantandone effetti migliori rispetto a quella prodotta “artificialmente”. Ovviamente si tratta esclusivamente di politiche di marketing che non hanno alcun riscontro rispetto alla reale efficacia del prodotto.
La vitamina C industriale si produce a partire dal glucosio, uno degli zuccheri semplici che formano il saccarosio. Il processo, piuttosto complicato, è suddiviso in vari stadi e uno di questi consiste nella fermentazione causata da un microrganismo, un po’ come avviene nella produzione del vino o della birra.
Il glucosio utilizzato per produrre vitamina C proviene dall’amido di mais. L’amido infatti è un polimero di glucosio: composto da moltissime molecole di glucosio legate le une con le altre. A volte l’amido di mais adoperato per la produzione della vitamina C può provenire da coltivazioni OGM. Naturalmente la vitamina C è presente in alcuni alimenti, insieme con bioflavonoidi, soprattutto nei vegetali a foglia verde, peperoni, pomodori, kiwi e negli agrumi, particolarmente concentrata nel frutto di ciliegia amazzonica, l’acerola, e nella rosa canina.
Quello che cambia in modo rilevante rispetto a quella prodotta industrialmente non è soltanto la concentrazione ma la relativa labilità di quella “naturale”. La vitamina può perdersi nel caso in cui questi alimenti vengano tenuti all’aria per molto tempo o dentro contenitori di metallo, per esempio di rame. La cottura può comportare perdita di vitamina (in taluni casi fino al 75%); questa perdita può essere ridotta adottando una cottura che sia il più possibile rapida e in poca acqua.
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