Dopo la proiezione nelle sale cinematografiche a ottobre 2023, il film documentario Zucchero – Sugar Fornaciari è approdato l’1 febbraio 2025 anche sulla piattaforma di streaming Amazon Prime.
Presentato alla Festa del Cinema di Roma, il documentario non vuole essere solo un ritratto auto-celebrativo, bensì un viaggio nell’anima dell’artista Adelmo Fornaciari – in arte Zucchero – che nonostante il successo, continua a interrogarsi sulla vita e sui grandi dubbi e fragilità dell’essere umano.
Il lungometraggio procede dalle prime esperienze musicali di un Adelmo bambino che si reca alla chiesa di Roncocesi per suonare l’organo, suo paese natale nella provincia di Reggio Emilia, passando per le prime avventure ai Festival di Castrocaro e Sanremo, fino alle tappe significative della sua carriera che lo vedono incoronato re del blues italiano.
A rendere incredibile il racconto, le immagini provenienti dagli archivi privati di Zucchero e gli interventi dei suoi amici e colleghi del calibro di Sting, Bono, Brian May, Paul Young, Francesco Guccini, Francesco De Gregori e tanti altri.
Anch’io, insieme a Wiki Magazine Italia, colgo l’occasione per celebrare la figura del cappellaio matto dalla voce di cuoio, con un focus sulla sua carriera come esempio perfetto di contaminazione musicale, di energia e intimità evocate dal linguaggio emotivo dei suoi testi, e di spiritualità profonda nella contraddizione perpetua tra sacro e profano, temi cardine di tutto il suo operato.
“C’è qualcosa di sacro nel profano e qualcosa di profano nel sacro. La musica serve per stare in equilibrio tra questi due mondi.”
Ci è voluto un po’ per trovare il marchio di fabbrica di Sugar, quello che affonda le note nella terra e che staglia nel cielo il grido graffiante di Oh Lord!
In più occasioni il bluesman emiliano ha raccontato le difficoltà incontrate durante le sue prime partecipazioni al Festival di Sanremo, evidenziando come produttori e case discografiche cercassero di imporre un’immagine di “bravo ragazzo” e una voce più pulita, in contrasto con la sua naturale inclinazione artistica.
La sua carriera di cantante pareva già volgere al termine per confinarsi nella sola attività di autore. Ma con la caparbietà che lo ha sempre contraddistinto, Zucchero si impunta e decide di dare libero sfogo alla sua vera voce, quella ruvida e intensa che sa di feltro, passione e storie da raccontare.
Il leitmotiv dell’essenza musicale di Zucchero risiede nella sua amata black music dal suono sporco e sferzante che ha sempre adorato e ricercato fin dalle prime chitarre ricevute in dono dai genitori.
La vicinanza con questo mondo apparentemente così lontano dalle sue origini emiliane, la si ritrova nell’amore che prova per la sua terra di contadini e mondine, e nel suo animo verace e “selvatico, poco incline ad essere plasmato”, come si definisce in un’intervista per il magazine Rockol.
La distesa di campi che circondano Roncocesi ha da sempre ispirato l’animo e la mente del cantante, contribuendo a formare la coscienza tribolata e l’indole malinconica che l’hanno condotto lungo le strade del blues.
Il parallelismo con l’ambiente rurale dove è nato il blues – tra i canti di lavoro e i field hollers degli schiavi afroamericani – è evidente.
È in quest’atmosfera che Zucchero fa sua l’espressività tipicamente cruda del blues, legata a doppio filo alle esperienze umane, in particolare alle emozioni di dolore, amore perduto, solitudine, ma anche di ironia, speranza e resistenza.
Per Sugar, il blues non è solo un genere musicale, ma è un modo per trasformare il dolore e i sentimenti umani in arte, in un rituale di liberazione emotiva.
La catarsi sopraggiunge infatti quando si reca a New Orleans per toccare con mano la culla del blues, e la sensazione di sentirsi nel posto giusto è forte. Dal documentario Zucchero – Sugar Fornaciari:
“La prima volta che sono andato a New Orleans, dall’aereo ho visto queste paludi, questo fiume: il Mississippi che passava di lì. C’erano degli alberi, diversi sicuramente da quelli dell’Emilia, ma a me sembravano proprio quelle pioppette che ci sono lungo il Po’ […] mi sembrava di essere sempre stato lì, di essere nato lì. È una città di campagna quasi come quella dove sono nato […] New Orleans mi ha dato questa sensazione, di essere a casa”.
Si fondono così l’animo blues e il cuore italiano di Adelmo Fornaciari nell’artista che tutti conosciamo, il cui sound unico è la sintesi perfetta tra l’intensità del blues (e i suoi diretti discendenti come il soul e il funky), l’orecchiabilità della musica leggera e la distinzione artistica dei testi della musica d’autore.
Consiglio l’ascolto dei brani Overdose D’Amore (Oro, Incenso e Birra, 1989), Diavolo in Me (Oro, Incenso e Birra, 1989), Hey Man (Blue’s, 1987), X colpa di chi? (Spirito DiVino, 1995), Blu (Bluesugar, 1998), Ali D’Oro (Shake, 2001), Voci (Black Cat, 2016), Partigiano Reggiano (Black Cat, 2016), Testa o Croce (D.O.C, 2019), emblematici della capacità di Zucchero di essere un ponte tra mondi diversi, anche se la lista sarebbe ben più lunga!
“La musica non ha confini. Io prendo un po’ di blues, un po’ di soul, ci metto dentro la mia terra e il mio dialetto. E diventa Zucchero.”
Quando parliamo di Zucchero, una delle prime cose che ci vengono in mente sono le nonsense lyrics, un vero e proprio trademark dei suoi testi. Si tratta di una commistione di parole italiane e inglesi che insieme creano spesso dei veri e propri neologismi, aventi più un valore emotivo che letterale.
Una canzone rappresentativa di questa sua capacità di conferire alle parole – apparentemente senza senso – un significato in realtà molto evocativo è il brano Dune Mosse dal disco Blue’s (1987).
Questo album di successi come Senza una Donna, Hey Man e Pippo (tanto per citarne alcuni), ha contribuito a lanciare definitivamente la carriera di Zucchero, ma non nel periodo migliore: si stava infatti separando dalla moglie Angela Figliè, esperienza che lo portò a soffrire di una pesante depressione dalla quale ne uscì anni dopo, componendo il capolavoro Miserere (1992) con Luciano Pavarotti.
Ma torniamo un momento su Dune Mosse, brano divenuto iconico grazie anche al contributo del gigante del jazz Miles Davis, con il quale registrò una seconda versione nel 1988, pubblicata soltanto nel 2004.
Dicevamo che questo brano è rappresentativo della scrittura alla Sugar perché da esso si evince il suo modus operandi nella creazione dei testi: è infatti sua abitudine scrivere alcune frasi prima in inglese, per poi trasporle in italiano seguendone la sonorità. Le prime righe del testo recitano:
“Un viaggio in fondo ai tuoi occhi,
Dai d’illusi smammai”
Dai d’illusi smammai vuol dire tutto e niente. Per chi cerca un significato letterale, può voler dire “me ne andai dagli illusi”. Per chi cerca una similitudine sonora con l’inglese, può trovarla in “I’ve been losing my mind”. Mentre chi vuole godere della suggestione e di ciò che il brano evoca, sa che quella frase vuol dire tutto, anche senza dire niente. Nella seconda sezione il testo recita:
“Il mare in fondo ai tuoi occhi
Grembi nudi lambì
Il vento in fondo ai tuoi occhi
Carezzò dune mosse.
Don’t cry e noi
Poi colammo giù
Si rimbalzò e tornammo su.”
Da notare come il verso “grembi nudi lambì” metta in moto l’immaginazione di chi ascolta come fosse un’immagine sonora e come in “don’t cry e noi” ci sia la tipica commistione italiano-inglese dei testi di Zucchero. Il testo segue:
“Dentro una lacrima
E verso il sole
Voglio gridare amore
Non ne posso più.
Vieni t’imploderò (alcuni sostengono la versione con “t’implorerò”)
A rallentatore
E nell’imenso morirò”
Qui esplode il carico emotivo del brano, nello strazio di un amore finito che trascende il tangibile e che ti accompagna, a rallentatore, nell’imperscrutabile.
Forse è stato proprio questo lirismo criptico pieno di immagini evocative e di sonorità oniriche a colpire Il Principe delle Tenebre e a fargli desiderare di suonare in questo capolavoro, tanto da dire a Zucchero a sessione finita: “this song makes me cry, your voice makes me cry. Cazzo, thank you!”.
E come dargli torto, dopo tutto, ci troviamo di fronte a uno dei brani più interessanti della produzione italiana degli ultimi quarant’anni.
Da un commento YouTube sotto il video di Dune Mosse: “Senza parole. Due geni. Una voce che esce da una caverna e una tromba che piange… che grida. Capolavoro inarrivabile”.
Nulla da aggiungere!
Per ritrovare il mood di Dune Mosse, consiglio i brani Madre Dolcissima (Oro, Incenso e Birra, 1989) Il Volo (Spirito DiVino, 1995), Menta e Rosmarino (The Best of Zucchero Sugar Fornaciari’s Greatest Hits, 1996), Indaco dagli Occhi del Cielo (Zu & Co, 2004).
La carriera di Zucchero è caratterizzata fin dagli albori, da una dicotomia tra sacro e profano, i due grandi motori della sua creatività e del suo genio.
Nell’immaginario collettivo, la sua persona è sempre stata legata alla figura del bluesman godereccio, poco incline al politicamente corretto che tratta temi considerati tabù come l’amore libero, il sesso e la passione con quel risvolto carnale e voluttuoso.
Con quanto detto in precedenza, abbiamo la prova che i suoi testi non parlano solamente dei piaceri terreni, ma sarebbe scorretto non riconoscergli anche questo suo lato piacevolmente dionisiaco.
Zucchero fu infatti uno dei primi a rendere il sesso e il piacere una parte centrale della sua poetica musicale, parlandone in modo esplicito tra gli anni ‘80 e ‘90 e continuando durante tutta la sua produzione.
Esempi iconici sono Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica (Blue’s, 1987), il cui titolo manifesto lascia poco spazio a seconde interpretazioni, e Il mare impetuoso al tramonto salì sulla luna e dietro una tendina di stelle (Oro, Incenso e Birra, 1989), i cui testi risvegliano i sensi intorpiditi di un’Italia che ancora sprofondava in un mare di perbenismo.
“Voglio vederti ballare
Senza tabù
Un ballo da strappamutande
Fallo di più.
Come on sister
È un volo proibito
Amore e sesso, sesso, sesso
Sono un assetato.
Perché tu sei l’acqua, l’acqua del peccato.”
A differenza della canzone d’autore italiana, che parlava di amore spesso in termini romantici e poetici, Zucchero fece largo uso di immagini più fisiche e materiali, ispirandosi direttamente agli artisti angloamericani che affrontavano già apertamente il sesso nella musica, come il suo idolo Joe Cocker, i Rolling Stones, Prince e il blues afroamericano in generale.
I suoi testi sono lussuriosi, allusivi e sensuali ed è anche grazie a lui se nella discografia italiana si introdussero via via testi più diretti, ironici e provocatori, sicuramente meno “casti” e “ingessati” rispetto alla tradizione della canzone italiana.
Se ti piace questa vena accattivante, consiglio di ascoltare – in aggiunta ai brani citati in precedenza – Con Le Mani (Blue’s, 1987), Baila (Sexy Thing) (Shake, 2001), Voodoo Voodoo (Spirito DiVino, 1995), Bacco Perbacco (Fly, 2006), Vedo Nero (Chocabeck, 2010), Soul Mama (D.O.C., 2019).
Il contraltare a tutta questa carnalità, è la profonda spiritualità che va oltre alla religione e quella nostalgia di un ritorno alle radici, in una tensione tra passato e presente.
Questa atmosfera di realismo poetico e rurale, si riscontra in molti dei suoi album, dai più iconici ai più intimi: un esempio è il concept album Chocabeck (2010) che rappresenta una giornata domenicale, dall’alba al tramonto, in un tipico paesino della “bassa” Pianura Padana.
Oppure il brano, che non tutti conoscono, Oh Lord, Vaarda Gio (2021) di Davide Van De Sfroos a cui Zucchero prese parte. Il testo, molto toccante, è cantato nei dialetti dei due artisti – laghée e reggiano – e rappresenta una preghiera libera, portavoce di chi ancora spera nel presente e nel futuro. La magia che completa l’incanto di questo brano è la partecipazione dello scrittore dei boschi Mauro Corona alle riprese del video ufficiale, ambientato tra i paesaggi mozzafiato delle montagne friulane.
Un altro disco degno di nota per l’espressione della spiritualità è l’album D.O.C. (2019), il cui acronimo sta per “Disco di Origine Controllata”.
Il titolo richiama la volontà di dedicarsi alla qualità dei brani sia da un punto di vista musicale, che tematico: i testi raccontano di libertà, ricerca dell’autenticità, impegno civile e spiritualità.
“Sono cresciuto davanti a una chiesa dove suonavo l’organo e servivo messa, però frequentavo anche la cooperativa del partito comunista, quindi mi muovevo tra il sacro e il profano. Ancora oggi non so a chi dar retta e preferisco stare nel mezzo. Ma il lato spirituale mi attrae sempre di più, anche nei miei testi, parlo di luce, di spirito. Adoro andare nelle chiese vuote a pensare o meditare. Sono un ateo strano.”
La prima traccia che apre l’album s’intitola per l’appunto Spirito nel buio e vuole essere un invito a compiere le azioni che scandiscono la nostra quotidianità nel migliore dei modi, anche grazie all’aiuto della dimensione spirituale che può supportare la costruzione di un mondo migliore.
Nella costante interazione tra sacro e profano – “sacro e profano questo amore mio” – Zucchero chiede alla divinità di manifestarsi per “redimere” il mondo dalla superficialità e dall’egocentrismo che ha portato a considerare l’altro come un nemico, creando divisioni e guerre.
Ma per far sì che questo processo di liberazione abbia inizio, è necessario risvegliare la coscienza e riconnettersi alla dimensione spirituale che è in noi per renderla visibile a tutti attraverso i gesti e le parole: “Gioia nel mondo e a te dovunque sei, che accendi spirito nel buio […] vorrei vedere tutto il mondo in festa, che accende spirito nel buio”.
“Lo spirito nel buio è quello spirito superiore, non necessariamente il Dio dei cristiani, ma una luce in fondo al tunnel nonostante i mali di questo tempo.”
Ed è proprio per questi motivi che Zucchero non è solo un bluesman, né solo un poeta di emozioni crude e viscerali.
È un traghettatore di mondi, un alchimista musicale capace di trasformare il fango in oro e la malinconia in rito collettivo.
Tra le radici contadine dell’Emilia e il battito primordiale del Mississippi, la sua voce si muove come un’anima errante, raccogliendo storie, polvere e desideri per restituirli in musica. Un inno alla libertà, alla contaminazione e a quella sacra imperfezione che rende la musica eterna.
Dopotutto, come dice lui stesso, la musica non ha confini. E neanche il blues.
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