venerdì, Aprile 26

Jacopo Rauch, ovvero il cantore dell’avventura

Jacopo Rauch è uno dei più poliedrici cantori dell’avventura targata Bonelli, che si tratti delle atmosfere multi genere di Zagor o del western classico di Tex, l’autore senese padroneggia con la stessa efficacia creativa entrambe le testate iconiche della Casa delle Idee. In questa intervista Jacopo affronta il ricordo dei suoi inizi per spaziare poi a come si sviluppa il processo narrativo di un albo, fino a giungere ad una urticante ma convincente opinione sulla crisi del fumetto.

Gli inizi

WMI: Sei entrato in Sergio Bonelli Editore nel 1999 e hai iniziato sotto l’ala protettiva di Mauro Boselli a scrivere per Zagor. Che ricordi hai di quel periodo e del tuo “apprendistato” nella casa editrice più importante del fumetto nazionale?

JR: Ricordi molto piacevoli, ovviamente. Eravamo alla fine degli anni 90, quando spedii in redazione alcune sceneggiature per storie di Tex e Mister NO. Boselli vide delle potenzialità e mi mise alla prova su Zagor. Ricordo quei primi (per me entusiasmanti) contatti telefonici con la redazione, non solo con Mauro Boselli, ma anche con Maurizio Colombo, che a quei tempi era suo assistente di testata. Schivo come sono, però, passarono anni prima che mi recassi di persona a Milano per incontrare fisicamente qualcuno (men che meno Sergio Bonelli, di cui avevo un vero timor sacro). Spedivo di volta in volta una quarantina di tavole a Boselli e aspettavo spasmodicamente il suo responso telefonico. Ho imparato così il mestiere, a distanza.

Jacopo con il maestro Gallieno Ferri

Tex o Zagor, pari non sono

WMI: Adesso sei una delle colonne della Bonelli e scrivi e sceneggi storie sia per Tex che per Zagor, i due principali eroi dell’universo bonelliano. Pur ambientati entrambi genericamente nel West americano sono però due personaggi profondamente diversi. Ci può sintetizzare queste differenze e cosa comportano dal punto di vista del processo narrativo?

JR: Prima di tutto c’è una ben nota differenza caratteriale tra i due. Tex, granitico e pieno di certezze inscalfibili, mentre Zagor, più tormentato e pieno di dubbi. Due protagonisti tanto diversi, già obbligano a un differente approccio nella concezione delle rispettive avventure. Poi c’è la differenza stilistica delle due testate. Tex ha un’impronta nettamente realistica, che non perde mai, neanche nelle sue storie più fantastiche (persino in quelle con Mefisto, nonostante i diavoli). Zagor invece, all’opposto, ha un’impronta prevalentemente fantastica che non perde mai, neanche nelle sue storie di impianto realistico. Basti pensare al fatto che si svolge prevalentemente in un luogo che non esiste (Darkwood), e alla stessa improbabilità di uno dei due personaggi principali, cioè Cico, e dei suoi tanti comprimari, da Digging Bill, a Guthrum il vichingo, Bat Batterton e via dicendo. Questa impostazione in leggerezza, datagli dal suo creatore, Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli, con il preciso intento di destinare la testata a un pubblico molto giovane, rende Zagor un personaggio particolarmente insidioso da scrivere. Ha una sua apparente semplicità, infatti, che si fonda però su un equilibrio alchemico tra fantastico e realismo, umorismo ed epicità, difficilissimo da riprodurre e di cui Nolitta era un maestro inarrivabile.

Nella foto Rauch, con Ferri e Moreno Burattini, attuale curatore editoriale di Zagor

Come nasce una storia

WMI: Per i tanti lettori che si limitano a gustare la storia degli eroi preferiti senza chiedersi però quale è il processo produttivo che sta dietro l’albo prima che approdi in edicola o in fumetteria, ci puoi dire come nasce una storia di Tex o di Zagor? Dalla fase ideativa del soggetto fino all’ultima revisione?

JR: Scrivere una storia è un processo creativo di tipo ‘artigianale’, nel senso che è frutto di ‘mestiere’ e fatica, più che di mera ispirazione. Si parte da un’idea di base, che può nascere nei più svariati modi, e ci si costruisce attorno un soggetto, ovvero un riassunto della trama, di due o tre cartelle (pagine). Il soggetto viene visionato dal curatore della testata, che lo boccia o lo approva (in toto o con delle modifiche da apportare). Una volta che il soggetto è stato approvato ed eventualmente ‘trattato’, si è pronti per partire con la stesura della sceneggiatura vera e propria. Si procede (almeno nel mio caso) a blocchi di venti o trenta tavole per volta, che vengono passate al curatore per una prima revisione, prima di andare al disegnatore per la loro realizzazione. Quando la storia è stata interamente disegnata (per un albo di circa cento tavole occorrono, in media, sette-otto mesi, variabili a seconda della velocità dello stesso disegnatore), viene revisionata nuovamente dal curatore e passata poi al letterista incaricato di inserire i baloons sulle tavole. Quindi viene riletta nuovamente e da più persone diverse, in modo da ridurre il più possibile il rischio di refusi (che, invece, per via di una misteriosa maledizione, trovano sempre il modo di sfuggire). A quel punto la storia è pronta per la stampa. Questo, molto in sintesi, è il lavoro che c’è dietro a un albo che al lettore costa meno di un aperitivo.

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WMI: Ad un giovane che ha la passione per la scrittura applicata al mondo delle nuvole parlanti, quali consigli ti sentiresti di dare?

JR: Uno sceneggiatore deve essere innanzitutto un buon redattore di sé stesso. Nel senso che deve imparare a essere consapevole della validità o meno di ciò che scrive. La cosa è meno scontata di quanto possa apparire ed è una capacità senza la quale non si va da nessuna parte. Detto questo, per citare Bukowsky, se uno vuole boxare, deve salire sul ring. Nel nostro caso, deve provare a scrivere storie a fumetti e, se sono buone, proporle a qualcuno che le può pubblicare.

Le due testate principali di Tex, quali differenze?

WMI: Tex e Tex Willer, due testate, lo stesso iconico personaggio raccontato in due fasi diverse della sua vita. Dal punto di vista autoriale quali sono le principali differenze, è sbagliato affermare che le avventure del giovane Tex sono inquadrate in un contesto storico più stringente rispetto alla storica testata di Tex? E se questo è vero, per un autore è una “gabbia creativa” oppure una sfida stimolante?

JR: Entrambe le testate si muovono in un contesto storico ugualmente stringente e meticoloso (e non poteva essere altrimenti, data la già menzionata impronta realistica di Tex e dato che entrambe le serie sono curate dalla stessa persona, ovvero Mauro Boselli). Come ogni paletto, la cosa crea allo sceneggiatore più difficoltà che opportunità, ma adeguarsi alle testate per cui si scrive (e non il contrario) fa parte del mestiere. Per quanto riguarda le differenze, il giovane Tex è più irruento e impulsivo e, per questo, più portato anche a commettere qualche errore, rispetto alla sua versione ‘matura’. La differenza che incide di più, però, nella stesura delle storie delle due testate, è la lunghezza degli albi. Quelli del giovane Tex sono di soli sessantadue pagine e dunque le avventure di quest’ultimo seguono ritmi più sincopati e frenetici rispetto a quelle raccontate nella serie classica, in cui gli albi sono di centodieci pagine. C’è poi un’ulteriore differenza che ha caratterizzato la serie del Tex giovane, almeno fino a ora. Ed è quella determinata dalla sua condizione di fuorilegge, questa sì, molto stimolante, perché permette la stesura di avventure western da un’angolatura totalmente differente rispetto a quelle della serie classica. Peccato che con il progredire della saga, questa fase del giovane Tex volga al termine.

WMI: Puoi dirci qualcosa dei tuoi progetti futuri? Hai un “sogno” nel cassetto che ti piacerebbe realizzare?

JR: Mi dispiace, ma i progetti non si rivelano. Men che meno i sogni nel cassetto.

La crisi del fumetto secondo Rauch

WMI:: Concludiamo questa breve intervista con una domanda che rivolgiamo a tutti gli “addetti ai lavori” che accolgono l’invito di Wiki Magazine Italia. Ci riferiamo alla crisi del fumetto di cui si parla ormai da almeno 15 anni. Quale è il tuo parere in proposito? Si tratta di una crisi di lettori (le giovani generazioni leggono meno fumetti) o piuttosto di proposte editoriali non sempre all’altezza delle aspettative del pubblico? E infine il fumetto digitale, che abbatte i costi di produzione e conseguentemente i costi degli albi, può essere uno strumento per arginare questa crisi?

JR: Non darò una risposta diplomatica. La crisi del fumetto è evidente, ma non credo sia dovuta alla qualità di ciò che si produce (ci sono ancora grandi sceneggiatori e grandi disegnatori, che fanno grandi cose), quanto piuttosto che sia un riflesso del progressivo imbarbarimento culturale verso cui si muove la nostra società. Capisco che suoni come un luogo comune da vecchio barbogio, anche un po’ politicamente scorretto, ma è ciò che penso. Io osservo che la generazione di mio padre era mediamente molto più colta della mia e che la mia è mediamente molto più colta di quelle successive. Mio padre conosce interi passi della Divina Commedia a memoria, mentre ai miei figli non insegnano più neanche a scrivere in corsivo (e non esagero). Un ragazzino, oggi, usa a menadito uno smartphone, ma non ha mai letto L’Isola Del Tesoro. In un contesto simile, c’è da stupirsi se i fumetti siano in crisi? Fatte queste premesse, è evidente che il digitale fa risparmiare, ma non può certo rappresentare la soluzione, perché è la lettura in generale (cartacea o meno), che è destinata all’estinzione.

Per saperne di più:

Tex compie 75 anni!

La prima prova texiana di Jacopo Rauch

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